Luciano Vandelli, la Repubblica 27/2/2014, 27 febbraio 2014
ROMANZIERI IN UFFICIO
Burocrate. Parola che sa di monotonia, grigiore, mancanza di ogni genialità o fantasia. Eppure… eppure è proprio tra le file dei funzionari, che troviamo figure come il console Stendhal, i ministeriali Maupassant, Puskin e Gogol, i doganieri Melville e Hawthorne, l’impiegato comunale Verlaine, il prefettizio Collodi, il cancelliere Stoker, il bancario Svevo o, per venire a casi più recenti, il postino Bukowski, il bibliotecario Borges, il diplomatico indiano Swarup o il funzionario dell’Agenzia delle entrate David Foster Wallace. Autori che dal pubblico impiego hanno tratto non solo uno stipendio (più o meno modesto), ma anche idee, caratteri, ambienti, vicende che hanno ispirato capolavori. Dove il contesto burocratico — con le sue mediocrità, lentezze, opacità — diviene metafora del mondo.
Bei tipi, si dirà; gente che invece di fare il proprio lavoro si dedicava a divagazioni. Certo, mi rendo ben conto delle critiche cui tutto ciò si presta. I burocrati non godono di buona stampa; e ricordarne ora persino meriti culturali può sembrare una vera e propria provocazione. Eppure, anche e particolarmente tra questi scrittori non sono mancati impiegati- modello. Come Kafka, per ricordare soltanto il caso più noto: funzionario dell’Istituto di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, autore di relazioni tecniche e pareri giuridici di alta qualità, fortemente impegnato a contrastare ogni elusione dell’obbligo di garantire ai lavoratori le più elementari garanzie assicurative previste dalle prime regole del neonato sistema di welfare. E che a questo scopo percorreva faticosamente la Boemia, nonostante la malattia che lo tormentava, per compiere ispezioni in fabbriche dove operai lavoravano senza alcuna sicurezza, tutela, limiti di orario. Con una generosità e una dedizione che gli procurarono unanime stima e continui miglioramenti di qualifica, nonostante la sua condizione di ebreo, oltretutto di lingua tedesca. Al funzionario Kafka, dunque, è ben chiaro il concetto che l’amministrazione è uno strumento indispensabile per la realizzazione dei diritti sociali; così come, dal verso opposto, il pericolo che essa si trasformi in quella oscura macchina di prevaricazione che si ritroverà nel Processo e nel Castello.
D’altronde, neppure le questioni legate alle riforme amministrative rimangono estranee alle riflessioni della letteratura. E profondamente riformatore è il piano che elabora il protagonista del romanzo di Balzac Gli impiegati, funzionario integerrimo e competente che da tempo riflette sulle ragioni della crescente disistima della società nei confronti dell’amministrazione pubblica. Un piano di impianto ampio e ambizioso che, tra l’altro, prevede: a) una revisione del personale, basata sulla riduzione del numero degli impiegati, sulla valorizzazione di giovani meritevoli e sul contrasto alla demotivazione diffusa tra i dipendenti pubblici; b) la riorganizzazione dei ministeri, attraverso accorpamenti in poche, ampie strutture; c) la soppressione delle amministrazioni divenute inutili, con estinzione delle relative voci di bilancio; d) l’aggregazione di funzioni affini in capo alle medesime strutture; e) privatizzazioni e liberalizzazioni, dato che lo Stato possessore di imprese costituisce “un controsenso amministrativo”, impegnando semmai risorse pubbliche per sostenere le imprese; f) un riordino del fisco, accorpando e semplificando i diversi tributi, e valutando le ricchezze individuali attraverso una serie di indici (numero dei domestici, cavalli e carrozze di lusso, qualità della residenza, ecc.). Siamo nel 1824; eppure, le ipotesi non sembrano così obsolete...