Filippo Ceccarelli, la Repubblica 27/2/2014, 27 febbraio 2014
LA RIFORMA IMPOSSIBILE
Quando il presidente Renzi l’altro giorno ha invocato “una gi-gan-te-sca opera di semplificazione!”, con tutto il rispetto veniva da pensare a Ennio Flaiano, il più italiano degli scrittori moderni e il più moderno degli italiani — come risulta con allegro sgomento nell’acuto saggio di Diego De Angelis su Flaiano e la Pubblica Amministrazione (Rea, 2010).
E dunque: «Gli presentano un progetto per lo smaltimento della burocrazia. Ringrazia vivamente. Deplora l’assenza del modello H. Conclude che passerà il progetto, per un sollecito esame, all’ufficio competente, che sta creando».
Questo scriveva Flaiano nel 1951. Pochi mesi prima, con il VII governo De Gasperi, era nato il ministero “per la Riforma burocratica”, affidato all’amministrativista ligure Roberto Lucifredi, già fautore dell’abolizione delle province (!). Questi rimase lì per cinque governi di seguito, anche se subito il ministero cambiò nome intitolandosi “Riforma della PA”.
Nel 1954 Fanfani ripristinò l’originaria denominazione. Ma quattro anni dopo la burocrazia scomparve per sempre a beneficio della PA. Nel 1960 di nuovo e ancora Fanfani abrogò il pericolante dicastero sostituendolo con un sottosegretariato. Agli albori degli anni 60 riacquistò rango ministeriale e dopo una serie di figure minori vi rimise piede, una specie di canto del cigno, Lucifredi. Dopodiché i dc lo diedero in appalto al Psdi.
Sembra ovvio, ma nel frattempo la burocrazia estendeva il suo potere invadendo qualsiasi campo della vita pubblica. Dal che in un altro taccuino di Flaiano (che di suo aveva commesso l’ingenuità di chiedere al comune di Pescara se fosse stato registrato come Ennio o Enio) si legge: «Dopo la calata dei Goti, dei Visigoti, dei Vandali, degli Unni e dei Cimbri, la più rovinosa per l’Italia fu la calata dei Timbri. Erano costoro barbari di ceppo incerto, alcuni dicono autoctoni, dall’aspetto dimesso e famelico, che ispiravano più pietà che terrore».
Nel 1968 il ministero se lo riprese la Dc. E vi piazzò a lungo Remo Gaspari. Ma con un colpo di fantasia dei suoi Rumor volle ribattezzarlo “Organizzazione della PA” mentre Moro, che almeno possedeva il pessimismo dell’intelligenza, lo dedicò se non altro ai “Problemi della PA”. E insomma la storia è lunga, forse noiosa, ma istruttiva. Andreotti, che pure si definiva «un burocrate», ancora una volta lo degradò. Così come si deve a Cossiga (1980) la rinuncia nel titolo a ogni idea di riforma e venne alla luce la “Funzione pubblica” — subito corretto in “Finzione pubblica”.
Tale restò per tutti gli anni 80 e 90 e anche oltre. Vi si esercitarono invano anche illustri tecnici: Massimo Severo Giannini, Paladin e poi anche Cassese. Il IV governo Fanfani (1987) lo unificò con gli Affari Regionali, come più tardi Berlusconi (1994). Quindi Dini, Prodi, D’Alema e Amato bis ancora lo declassarono. Ma nel 2001 Berlusconi lo promosse di nuovo, accontentando Frattini e assicurandogli pure l’indispensabile soccorso di un sottosegretario. Il Prodi bis (2006) cancellò la dizione la Funzione Pubblica per varare il ministero per la “Riforma e l’Innovazione nella PA”. Il Berlusconi ter (2008) invertì i termini lessicali della faccenda, chiamandolo “PA e Innovazione” — e si ebbe la spumeggiante epopea di Brunetta. Ma al tempo stesso alcune funzioni se le prese la “Semplificazione normativa”, il cui titolare, Calderoli, armato di lanciafiamme bruciò quintali di leggi nel cortile dei pompieri.
Monti unificò i doppioni creando il ministero per la PA e la Semplificazione; ora Renzi ne lancia un altro per la Semplificazione e la PA; e sempre più si avverte la nostalgia di Ennio (o Enio) Flaiano.