Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 27/2/2014, 27 febbraio 2014
UN BUROCRATE AMMAZZABUROCRATI
È il burocrate che Matteo Renzi vuole lanciare contro la burocrazia. Lo ha nominato segretario generale della presidenza del consiglio (al posto di Roberto Garofoli, chiamato da Enrico Letta), su suggerimento del suo alter-ego, Graziano Delrio.
Sì, perché Mauro Bonaretti era il braccio destro di Delrio quando egli era sindaco di Reggio Emilia. Lo volle direttore generale del Comune, stipendio di 111 mila euro l’anno. Poi se l’è portato al ministero degli Affari Regionali e adesso ecco il nuovo salto, quello a burocrate più importante del governo. Per arrivare a Renzi e Delrio bisognerà passare da lui, che avrà alle dipendenze 4.500 persone, il triplo del Cabinet office di David Cameron.
A Reggio Emilia si ricordano di quando definì il consiglio comunale «tribunale del popolo autoconvocato» perché la minoranza aveva chiesto una seduta per sfiduciarlo, in seguito a un suo caso personale, che fece surriscaldare il clima politico della città mettendo Delrio in imbarazzo. Il dg aveva ristrutturato il terrazzino del suo appartamento nel centro storico senza tutte le autorizzazioni nonostante esso fosse tutelato dalle Belle Arti. Un consigliere d’opposizione alla giunta guidata da Delrio, il leghista Giacomo Giovannini, fotografò i lavori e la politica locale andò in fibrillazione. Finchè l’accusato non riconobbe la colpa e pagò la multa (20 mila ) comminatagli dal Comune di cui era direttore generale. Per la Lega quegli interventi «hanno comportato un ampliamento dell’alloggio con conseguente aumento di superficie utile e di volume, un mutamento di destinazione d’uso da terrazzino a sala da pranzo nonchè l’esecuzione di opere interne quali demolizione di alcuni tramezzi sia all’interno che all’esterno dell’unità abitativa». Il Comune indagò e arrivò la multa mentre un dossier sarebbe ancora sul tavolo della Sovrintendenza alle Belle Arti.
Un incidente di percorso che non scosse la fiducia in lui del sindaco, il quale anzi ne utilizzò le competenze quando, diventato presidente dell’Anci, Delrio dovette abbozzare quella riforma degli enti locali (dalle città metropolitane all’abolizione delle Province) che poi è diventata tra le priorità del programma renziano. Adesso il neo-segretario generale della presidenza del Consiglio dovrà passare dalla teoria alla pratica e a lui il tandem Renzi-Delrio affiderà, per incominciare, l’iter della definitiva cancellazione delle Province.
Ma una proposta di Delrio, su suggerimento di Bonaretti, è pure quella di far tornare nei Comuni, anche quelli piccoli tra i 50 e i 100 mila abitanti, i direttori generali esterni, che invece Giulio Tremonti aveva cancellato, ritenendo i bilanci dei mini Comuni incompatibili con la spesa per un dg: funzione dirigenziale di coordinamento, individuata senza concorso pubblico, e dallo stipendio annuo che può arrivare a 250mila, una figura manageriale atipica, legata a doppio filo con il primo cittadino che lo nomina, con la funzione di controllo e coordinamento delle operazioni interne all’amministrazione. Nel governo Letta, Delrio fu stoppato dai ministeri dell’Interno e del Tesoro. Adesso, con Renzi, potrebbe avere via libera.
Poi c’è il grande tema della riforma degli enti locali, di cui Bonaretti sarà il grande timoniere, egli tenterà di sciogliere gli iceberg che hanno finora impedito di innovare. «Gli aspetti che in questo momento possiamo reputare maggiormente critici nell’attuazione della riforma sono due», dice. «Il primo riguarda il contesto contingente. I numerosi tagli subiti dalle amministrazioni comunali, un patto di stabilità difficile, un quadro complessivamente problematico, non aiutano le pa locali ad intendere l’attuazione della riforma come un’opportunità e non come una ulteriore complicazione. L’innovazione e il miglioramento richiedono, da parte di qualunque ente, degli sforzi e degli investimenti, sia dal punto di vista economico che da quello dell’impegno e il difficile momento che si sta attraversando rischia fortemente di far intendere la riforma come un ostacolo e non come una opportunità di crescita. La seconda criticità che a mio avviso va sottolineata è l’andamento un po’ «a strappi» dell’attuazione della riforma. Alcuni cambiamenti e rimaneggiamenti successivi delle norme da applicare hanno ingenerato una certa confusione nelle amministrazioni che, ad un certo punto, hanno avuto difficoltà ad individuare chiaramente quali fossero le cose da fare».
Il rapporto con la burocrazia è certamente uno dei nodi di questo governo. Renzi dice: «Quella della burocrazia è la madre di tutte le battaglie, bisogna cambiare mentalità questa è la responsabilità che sento più forte». Aggiunge Delrio: «Il tema non è tagliare la Pa, ma renderla più efficiente e amica. C’è moltissimo efficientamento da fare ma non credo che in questo momento questo Paese si possa permettere di licenziare».
Su questi buoni propositi veglierà il neo-superburocrate Bonaretti. Ma Delrio ha portato a Roma altri due suoi collaboratori reggiani e altri stanno facendo la valigia. Tanto che la Lega è assai critica: «Tra le macerie che lascia questo sindaco va iscritta senz’altro anche la situazione della macchina comunale«. Del resto, mai come ora l’apparato burocratico, centrale e periferico, è stato messo sotta accusa. Si vedrà in che modo il trio al comando, Renzi-Delrio-Bonaretti interverranno. La platea che a Roma aspetta di conoscere il proprio destino è ampia: Rosanna De Nictolis (Ambiente), Marco Lipari (Beni Culturali), Goffredo Zaccardi (Sviluppo Economico), Carlo Deodato (capo dell’ufficio Legislativo), Alfredo Storto (capo del legislativo alla Funzione Pubblica), Antonio Catricalà (già segretario generale e sottosegretario a Palazzo Chigi), Francesco Tomasone (capo di gabinetto con moltissimi ministri del Lavoro), Alberto di Nezza (capo di gabinetto alla Sanità), Giacomo Aiello (Infrastrutture), Daniele Cabras (Economia).