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 2014  febbraio 27 Giovedì calendario

IL GOVERNO RITIRA IL SALVA ROMA IL CAMPIDOGLIO VICINO AL DISSESTO


IL CASO
Si scrive Roma, si potrebbe leggere Atene. O magari Los Angeles, California. La Capitale rischia di iscrivere il suo nome tra i grandi crac finanziari degli ultimi anni. Lo spettro del default si è nuovamente materializzato ieri, quando il neo ministro ai rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, dopo l’ostruzionismo grillino e i veti incrociati, ha annunciato in aula alla Camera l’intenzione del governo di rinunciare alla conversione del Salva Roma bis, quello con i 485 milioni di aiuti al Campidoglio necessari per evitare il dissesto finanziario. Ed è la seconda volta che il provvedimento non viene convertito in legge. Era già accaduto alla fine dello scorso anno, con il Salva Roma Uno, lasciato morire ufficialmente perché imbottito di troppe norme «mancia», ufficiosamente perché in Parlamento l’ennesimo salvagente era considerato da molti, anche nel Pd, un «pasto gratis» per il Campidoglio dopo che lo Stato ha permesso di trasferire 20 miliardi di debito di Roma in una «bad company» al cui pagamento contribuiscono tutti i cittadini italiani con un trasferimento di 350 milioni l’anno. Roma, insomma, è la prima seria grana con la quale dovrà confrontarsi il neo premier Matteo Renzi.
LE SOLUZIONI ALLO STUDIO
Ieri Ignazio Marino ha provato a drammatizzare, minacciando le dimissioni. «Non sono un commissario liquidatore», avrebbe detto il sindaco prima di precipitarsi a Palazzo Chigi. Ma qui a riceverlo ha trovato solo l’ex sottosegretario Giovanni Legnini e il capo dell’ufficio legislativo. Il sottosegretario Graziano Delrio non si è fatto vedere e Matteo Renzi non si è fatto sentire. Anche al vertice all’Economia, presenti sempre Marino e Legnini, si sono presentati solo i tecnici del ministero. Il sindaco, insomma, ha provato a cucirsi da solo una soluzione alla crisi finanziaria. Ma le strade sono oggettivamente strette. Il decreto, nei suoi contenuti, non potrà essere reiterato per una terza volta: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non lo consentirebbe.Marino e Legnini avrebbero messo sul tavolo, comunque, una proposta per evitare le possibili obiezioni del Colle. Innanzitutto usare il decreto Tasi (l’aumento dell’aliquota fino allo 0,8 per mille) che dovrebbe andare in Consiglio dei ministri domani, per inserire un comma che faccia salvi gli effetti prodotti dal Salva Roma. In questo modo Marino salverebbe i conti del 2013 della Capitale, chiusi grazie a 320 milioni di benefici fiscali ottenuti con il provvedimento. Nel decreto Tasi, poi, sarebbe inserita anche un’altra norma, lo slittamento dal 30 aprile al 30 giugno del termine dell’approvazione del bilancio del 2014. Il passaggio più delicato riguarda proprio i conti di quest’anno. «Roma ha urgente bisogno di risorse finanziarie», spiega una fonte a conoscenza del dossier. Il Salva Roma decaduto riconosceva al Campidoglio per il bilancio di quest’anno altri 380 milioni di aiuti, fra trasferimento di debito alla gestione commissariale e altri finanziamenti. Una manovra senza la quale far quadrare il bilancio sarebbe impossibile. La Ragioneria generale, tuttavia, ieri avrebbe spiegato a Legnini e Marino che il meccanismo del vecchio Salva-Roma non potrà essere più usato. Serviranno altre coperture. Per trovarle verrà scritto un disegno di legge ad hoc. Resta naturalmente il tema dei «compiti a casa» per sanare i conti, come la chiusura delle partecipate minori, la riduzione del personale delle controllate, le cessioni di quote, che Marino si è sempre rifiutato di fare. Il governo Letta ha sempre chiuso un occhio. Quello Renzi potrebbe decidere di non farlo.
Andrea Bassi