Andrea Cabrini, MilanoFinanza 26/2/2014, 26 febbraio 2014
TADDEI: DURI SUL TAGLIO DELLA SPESA
Sarà fondamentale ridurre il carico fiscale sul lavoro, in modo da rilanciare domanda e consumi e far ripartire la crescita. È così che si risolve il problema del debito pubblico, anche se si farà di tutto per valorizzare gli asset disponibili per la vendita. Quindi è essenziale ridurre la spesa pubblica, che sarà oggetto di un lavoro «mai fatto prima». Questa in sintesi la strategia economica del governo Renzi, esposta in questa intervista dal responsabile economia dei Democratici, Filippo Taddei.
Domanda. Riguardo al cuneo fiscale, Renzi intende agire sull’Irap per le imprese e sull’Irpef per i lavoratori. Quanto potrebbe costare questo intervento e come potrebbe essere coperto?
Risposta. La riduzione dell’Irap di cui ha parlato il presidente del Consiglio è del 10% e vale circa 2,3-2,5 miliardi. Naturalmente bisogna stare attenti perché parte di questo gettito è pagato dalle imprese pubbliche, quindi è una partita di giro. Bisogna quindi concentrarsi sul gettito proveniente dai privati. Il resto della manovra verterà sull’Irpef. Il progetto è ambizioso: vogliamo ridurre la pressione fiscale sui lavoratori. Concentreremo la parte essenziale dei restanti 5 miliardi di riduzione programmata sui lavoratori che guadagnano fino a 27-28 mila euro l’anno, cioè l’80% dei contribuenti totali. E poi, a esaurimento, fino alla soglia dei 55 mila euro. Se dovessimo avere successo, il 95% dei contribuenti italiani vedrà ridursi il carico fiscale.
D. Quanto dovrebbe finire in tasca ai lavoratori, e perché non parla di dipendenti?
R. Lo spirito della manovra è sostenere il lavoro, che ha molte sfaccettature in questo Paese. Certo la maggior parte dei lavoratori sono dipendenti ma ce ne sono anche parecchi autonomi. Premiamo il lavoro nel suo insieme. Basta con la segmentazione e le operazioni spot. Poi naturalmente il Partito democratico crede che una parte sostanziale di tale sostegno vada alle persone più in difficoltà, quelle della classe media. Prendiamo un lavoratore che guadagna 1.600 euro lordi al mese. Con questo piano di riduzioni pensiamo di restituire circa 500 euro l’anno. Non gli cambierà la vita ma di certo lo aiuta. Per una famiglia, con figli e in cui due persone lavorano, avere 500 euro in più all’anno può fare la differenza. Bisogna però fare alcune scelte ed è qui, sulla copertura di queste operazioni, che voi dovrete controllarci. Su questo siamo determinati.
D. Come dovrebbe cambiare l’imposizione sulle rendite finanziarie?
R. Non posso anticipare dettagli prima che lo faccia il presidente del Consiglio o il ministro dell’Economia. In ogni caso Renzi si impegna a fare alcune cose molto precise, come una riduzione del 10% dell’Irap. Possiamo farla aumentando le soglie di esenzione, premiando chi paga le tasse, per esempio finanziando con il gettito Irap la detrazione per le imprese che pagano una Ires positiva o per gli imprenditori che pagano l’Irpef, in modo tale da premiare chi ha capacità contributiva. Venendo cioè incontro a tutti quegli italiani che le tasse le pagano. Le cifre che girano, dei 30 miliardi, deriva da applicazioni del 10% che non fanno distinzioni precise. La vera sfida è fare esattamente quello che ci diciamo da anni senza farlo mai. Oggi c’è una forza politica che si vuole impegnare veramente per ridurre tutta la spesa non giustificabile, perché non offre servizi e non migliora le condizioni del Paese. Per farlo bisogna andare a toccare tanti centri di interesse. Serve un capitale politico enorme e che negli ultimi anni ha avuto solo Silvio Berlusconi nel 2001, che lo impiegò per cose molto meno meritevoli e dubbie riforme sulla giustizia. Noi lo impieghiamo per una riforma fiscale di questo Paese che sia permanente e quindi sostanziata innanzitutto da tagli alla spesa pubblica
D. Questo capitale politico potrà aiutare Cottarelli nel suo compito? In passato è sempre stato facile mettere dei numeri nelle previsioni ma poi è stato difficile realizzarli. Non ci sono riusciti né Bondi né Giarda.
R. Ha ragione ma ci sono due differenze rispetto al passato. Anzitutto valuteremo come Cottarelli ha svolto il suo lavoro e quando questo verrà fuori vedremo la differenza di metodo. Cottarelli non fa il tipico lavoro di Spending review, ma ne svolge uno molto più specifico che permetterà di identificare la spesa, la norma a questa collegata, il centro di costo e quindi di capire dove intervenire per tagliarla. Un lavoro di dettaglio finora mancato. Un altro vantaggio per Cottarelli è avere dietro di sé Renzi e il Pd, principale azionista di questa coalizione, che dicono senza ambiguità che se la riduzione permanente delle tasse sul lavoro richiede interventi sulla spesa.
D. Quanto potrebbe costare il reddito garantito per i lavoratori atipici?
R. Abbiamo fatto tutti i calcoli del caso. Anche questo è un cambio di passo rispetto a quanto fatto in precedenza. L’Aspi, che non è un reddito minimo ma un assegno di disoccupazione più esteso, coprirà quindi i co.co.pro. che sono il caso di riferimento. L’ipotesi di estensione della riforma e di allungamento, secondo noi, costa come l’attuale Aspi più la cassa integrazione in deroga. Quello che noi abbiamo in mente è che, quando la cassa in deroga va a graduale esaurimento, le persone sinora coperte da questa lo saranno da un istituto più universale della vecchia Aspi. Ma questa è una valutazione prudenziale, perché ragioniamo sul peggiore anno in termini di disoccupati.
D. L’economia si riprende in Europa ma la disoccupazione aumenterà ancora nel 2014.
R. Tenete presente che la disoccupazione segue la crescita con un ritardo di 6-9 mesi (dipende da quanto è sensibile il mercato di riferimento). Quindi se in Italia ora c’è una crescita positiva, i miglioramenti ci saranno a fine anno, o all’inizio del 2015. Questo è l’anno terribile. Quando cominceranno i miglioramenti nel 2015, vorremmo che l’Italia disponesse di ammortizzatori sociali più moderni e universali, che trattino i lavoratori tutti allo stesso modo.
D. In questa fase come vede il problema del debito pubblico? È una priorità per questo governo, anche tramite le privatizzazioni?
R. Non vogliamo fermare le privatizzazioni già avviate dal governo Letta. Vogliamo anzi potenziare la valorizzazione del patrimonio pubblico italiano. Però vorrei chiarire una cosa. La soluzione al debito pubblico italiano si chiama crescita. E per crescere bisogna rimettere al centro il lavoro. Usciamo dalla logica un po’ emergenziale secondo la quale le privatizzazioni si fanno per ridurre il debito pubblico. Le privatizzazioni si fanno per due ragioni: ridurre il debito pubblico e liberalizzare il mercato per offrire servizi migliori o meno costosi ai cittadini. Il problema di questo Paese si chiama crescita economica. L’Italia è l’economia sviluppata che cresce meno nell’ultimo decennio. Concentriamoci su quello e riusciremo a cambiare il Paese.
D. Sulla privatizzazione di Poste Italiane, la nuova guida del governo prenderà i considerazione la piena liberalizzazione del mercato, che al momento appare trascurata?
R. Senz’altro. Poste non è una privatizzazione ma una parziale alienazione. Vogliamo mettere gli incassi dalla vendita del patrimonio pubblico, per ridurre il debito ma sempre nell’interesse di lungo periodo dei cittadini italiani, che è liberalizzare i mercati per avere servizi più efficienti.