Jessica D’Ercole, Visto Tv 18/2/2014, 18 febbraio 2014
I GIOVANI E LA MODA CHE VERRA’. CACCIA AL NUOVO VALENTINO
Oltre tremila giovani, armati di ago e filo, si sono sfidati ai casting della versione italiana di Project Runway, per mostrare le loro creazioni in fatto di moda. Ma solo in dodici, quelli che hanno dimostrato più stoffa da vendere, ce l’hanno fatta. Project Runway è il fashion show americano più famoso nel mondo. Lanciato nel 2004 da Heidi Klum, la supermodel tedesca che proprio in quel periodo ebbe una relazione e una figlia con Flavio Briatore, è stato poi esportato in 45 paesi, e dopo Kenya, Sri Lanka e Vietnam, finalmente, è arrivato anche in Italia (su FoxLifeP [113] da mercoledì 26 febbraio in prima serata). Oltre alla Klum, per dodici edizioni (andate in onda su SkyUnoP, su Cielo e ora in replica su FoxLifeP [113], la mattina intorno alle 6.3o), nel ruolo di giudici conduttrici della versione Usa si sono alternate personalità del calibro di Sarah Jessica Parker, la guru della moda di Sex and the city, Victoria Beckham, moglie di David, ex Spice girl ora stilista, ma anche la cantante Christina Aguilera, l’attrice premio Oscar Natalie Portman, Diane Von Fürstenberg ecc.
In Italia, invece, sarà Eva Herzigova a tenere le redini del gioco. La bellissima modella-attrice-stilista ceca, quella che, vent’anni fa, supplicava gli uomini di guardarla negli occhi mentre pubblicizzava un reggiseno che rendeva alquanto generoso il suo decolté, oltre a presentare lo show siederà nella giuria. Accanto a lei Alberta Ferretti, la stilista di Cattolica che da un piccolo negozio sulla costa romagnola ereditato dalla madre ha creato in meno di vent’anni una casa che è un impero della moda, e l’imprenditore Tomaso Trussardi, famoso per essere il fidanzato della Hunziker (i due, nell’ottobre scorso, hanno avuto anche una bambina, Sole), ma che in realtà è il cervello che gestisce il business dell’azienda di famiglia diretta dalla sorella Gaia. Ogni settimana, vicino a loro, anche un quarto giurato, un ospite d’eccezione che, si tratti di una star del mondo dello spettacolo o della moda, non esiterà a dire la sua in fatto di stile. Tra questi ci saranno anche il fotografo Giovanni Gastel, da più di trent’anni su tutte le riviste di moda, la nuotatrice Federica Pellegrini, le attrici Isabella Ferrari e Asia Argento, che per quanto diverse hanno fatto sapere di avere gli stessi gusti in fatto di costumi da bagno: entrambe impazziscono per quelli disegnati da Laura Urbinati, la stilista romana che ha conquistato migliaia di celebrities, da Uma Thurman a Demi Moore.
Nonostante la crisi economica, l’industria della moda è un settore in crescita. Nel 2014 il fatturato dovrebbe aumentare del 5 per cento. Una previsione che fa ben sperare per il futuro dei dodici prescelti, anche se nessuno di loro ha una grande esperienza alle spalle. Sinora hanno vestito per lo più i loro familiari, come Silvia che ama cucire abiti per la madre o Matteo, che nell’armadio di mamma Loretta ci è cresciuto. Ma ci sono anche Rocco che stravede per Versace, Donnas che adora Vivienne Westwood, Jacopo che ha la fissa per i bottoni, Elena che ama giocare con i tessuti, Giorgia che, a tredici anni, s’incantò davanti alla vetrina di un negozio di stoffe e Salvo che sin da piccolo creava abiti per le bambole. Marco, invece, deve tutto a Nonna Rosa, sarta del paese, che gli ha trasmesso la sua passione, ma anche la nonna di Deborah ha i suoi meriti: le ha spiegato come cucire i bottoni mentre quella di Eli (l’altra Elena) le ha insegnato il taglio e cucito. E poi c’è Milan, con il suo indiscutibile motto: «Se segui la tendenza non puoi crearla».
Sono tutti bravi, ma solo i tre migliori arriveranno in finale e solo uno si aggiudicherà un contratto per un anno con Trussardi, vedrà pubblicati alcuni pezzi della sua collezione sul mensile Marie Claire e, a settembre, volerà a New York per vedere le passerelle della fashion week della capitale della moda 2014. Ma per vivere il sogno americano i concorrenti dovranno fare molti sacrifici: i giudici saranno implacabili. L’esigente Eva Herzigova sostiene che il suo «è un ruolo da gestire bene, i concorrenti sono vulnerabili, ma devono crescere», per Alberta Ferretti «nella trasmissione si vedrà tutto l’impegno che questa professione richiede», mentre Tomaso Trussardi, a quanto pare il più cattivo dei tre, non ha peli sulla lingua e stronca gli outfit dei concorrenti con frasi del tipo: «Va bene che l’eleganza può essere associata alla sensualità, ma qui siamo al limite del bordello». Per fortuna a sostenere gli aspiranti stilisti c’è Ildo Damiani, fashion editor, docente di moda Master Courses in Domus Academy a Milano che, tra l’altro, ha lavorato a Madame Figaro, Vanity Fair, Gq ecc. Lui sarà «l’uomo che dà le dritte tecniche, la spalla su cui piangere, l’amico con cui ridere. Sono la persona con cui i concorrenti hanno passato più tempo, quella che gli ha inflitto, quando era il caso, anche punizioni. Come fargli seguire lo styling di un gruppo di cani!». E per quanto possiate trovare carine le mise di barboncini e chiwawa, la pet fashion non deve essere il massimo per un aspirante stilista. Ma guai a chi non prende sul serio Dudu, perché chi va fuori tema o non rispetta i budget previsti, rischia l’eliminazione. I dodici concorrenti alloggeranno in un loft, spiati 24 ore su 24 dalle telecamere (da giovedì 27 febbraio alle 19.05, il daytime sempre su FoxLifeP [114]. Oscar Wilde sosteneva che «la moda, da un punto di vista artistico, di solito è una forma di bruttezza talmente intollerabile da doverla cambiare ogni sei mesi» e anche se questa frase l’ha scritta più di un secolo fa (era il 1887, per essere precisi) non è mai stata così attuale. Stagione dopo stagione in passerella, sulle riviste patinate, o in strada, l’abbiamo vista trasformarsi grazie alla qualità, ai tessuti, insomma a quella che è la forza del made in Italy: le gonne lunghe hanno lasciato spazio a quelle corte, le giacche si sono ristrette sul punto vita, persino i pantaloni da uomo si sono accorciati alla caviglia… Ora non ci resta che vedere cosa inventeranno quelli di Project Runway Italia: come diceva Coco Chanel: «La moda cambia ma lo stile resta».
IL MARCHESE GIORGINI CHE S’INVENTÒ UNA SFILATA IN CASA E CREÒ IL BUSINESS DELLA MODA
La moda italiana è nata ufficialmente il 12 febbraio 1951, quando, a Firenze, il marchese Giovan Battista Giorgini (1898 - 1971) organizzò, nella sua casa in via dei Serragli, il First Italian High Fashion Show, la prima sfilata di moda italiana. Giorgini mise insieme dieci stilisti (le sorelle Fontana, Emilio Schubert, Jole Veneziani, Marucelli, Pucci, Capucci ecc.) con 18 modelli a testa e convinse i compratori americani a venire a vedere lo stile italiano prima di andare alle sfilate di Parigi. Il successo fu immediato. In Francia, e poi in America, non si parlò d’altro. Giorgini: «Questo gruppo di cinque compratori tornò in America con tale entusiasmo che quando feci la seconda sfilata vennero dall’America in 300!». Alle soglie degli anni 60, in Italia, circolavano 2 milioni di automobili, c’erano 400.000 lavatrici, 1.600.000 frigoriferi, 5.000 negozi di moda (contro i 2.800 del 1951) e 289 grandi magazzini con reparti di abbigliamento. In un opuscolo stampato nel 1985 si legge che, mentre nel 1955 la quota di mercato soddisfatta dall’abbigliamento pronto era del 22%, nel 1965 la percentuale era salita al 56%. Nel luglio 1959, a sottolineare la rapidità della crescita dell’industria italiana dell’abbigliamento, la Nazione scrisse che la vendita dei tessuti era salita dagli 82 miliardi di lire del 1950 ai 250 miliardi del 1958. Alla fine degli anni Ottanta, era la seconda voce nella bilancia dei nostri pagamenti, con un saldo attivo di 12.000 miliardi. A Milano, nel 2010, quasi ogni 24 ore nasceva un’impresa di moda, che dava lavoro a 45 mila addetti per un giro d’affari di quasi 8 miliardi di euro. Nel 2012-2013 c’è stato un notevole calo dovuto alla crisi, tuttavia il fatturato si è mantenuto sui 50 miliardi di euro. Ma secondo la Camera nazionale della moda l’anno si dovrebbe chiudere con un più del 5%. Ovviamente grazie all’export.
QUANDO I GRANDI ERANO PICCOLI
Valentino Nato a Voghera nel 1932, aprì il suo primo atelier a Roma nel 1959, in via Condotti. In quello stesso anno presentò Ibis, la sua prima collezione, che passò pressoché inosservata. Il debutto avvenne il 19 luglio 1962, quando partecipò alle sfilate fiorentine di Palazzo Pitti. Due anni dopo, Eugenia Sheppard, giornalista di moda, sul New York Herald Tribune scrisse: «Per la seconda volta nella storia le donne fremono per un giovane uomo di nome Valentino. Questa volta non è un attore, idolo delle platee cinematografiche, ma un designer italiano che vive a Roma». La sua V comparve per la prima volta su abiti e accessori nel 1967.
Versace Lo stilista calabrese assassinato a Miami nel 1997, si avvicinò alla moda da bambino. Sua madre Franca aveva una delle sartorie più importanti della città ed era specializzata nella riproduzione di modelli di moda francese. Nella sartoria apprese i rudimenti del mestiere. «Io sono un sarto» avrebbe poi dichiarato, «quando sono arrivato a Milano da Reggio Calabria tutto quello che avevo imparato da mia madre l’ho dovuto dimenticare perché c’erano altre tecnologie. Poi, man mano, ho scoperto che il suo insegnamento era ancora valido. Ho scoperto che il vero artista è l’artigiano. Mi fanno ridere certi stilisti che dicono di non essere sarti. Certo, visti i loro abiti, salta subito all’occhio».
Guccio Gucci (1881-1953) Dopo aver lavorato a Londra come lift-boy, ossia ascensorista, all’Hotel Savoy, fece l’apprendista alla Franzi di Milano; tornato a Firenze, nel 1921 aprì una selleria in via della Vigna Nuova. Fu l’autarchia a dargli quel guizzo in più. Di fronte alla carenza di materie prime, Gucci reinventò alcuni materiali, così nacquero la borsa con il manico di bambù, il mocassino con il morsetto ecc. Tra i tratti distintivi, i nastri in lana o cotone ispirati ai sottopancia della sella e il logo con la doppia G. Gli abiti della Littizzetto a Sanremo sono firmati Gucci.
D&G «Ci siamo conosciuti nello studio di uno stilista dov’eravamo entrambi assistenti. Io ci stavo da un po’, poi è arrivato Stefano, fresco di studi... Siamo stati lì un anno e mezzo. Facevamo orari folli. Viaggiavamo tanto, disegnavamo fino a notte fonda, all’alba partivamo su una scassatissima R4 per andare nelle aziende... è stata dura avere le prime consulenze. Abbiamo affittato un bilocale in porta Vittoria. Lì ci siamo trovati a collaborare insieme. Vivevamo nel terrore di perdere il treno della moda. Un mese prima delle sfilate organizzavamo eventi dai parrucchieri, da Burgy, portavamo personalmente gli inviti nelle redazioni... Cose un po’ allucinanti. Ci siamo fatti notare. Non bastava... Modenese ci vuole parlare. Ci incontriamo a Pitti. Ci fa: “Siete stati scelti come nuove proposte per Milano-collezioni”. È stato il momento di gioia più grande della nostra vita. Piangevamo, ridevamo, saltavamo...» (Domenico Dolce).
COCO CHE TAGLIAVA LA STOFFA E L’APPICCICAVA AL MANICHINO PERCHÉ NON SAPEVA CUCIRE
Coco Chanel (1883-1971) in realtà si chiamava Gabrielle. Nata a Saumur, in Francia, in una famiglia poverissima. Suo padre Albert era un venditore ambulante alcolizzato, sua madre Jeanne Devolle morì quando lei aveva appena 12 anni. Da giovane cantava in un caffè concerto. Non aveva gran voce ma era bella e il pubblico non le mancava. Cantava solo due canzoni. Una era Qui qu’a vu Coco dans le Trocaderò? E per chiedere il bis, il pubblico, per lo più di militari, gridava: «Coco, Coco, Coco». Il nome le rimase. Fece la commessa in una ditta specializzata in corredi per spose, poi si mise a fare cappelli. Iniziò a venderli nel 1910 quando, finanziata dal suo amante Capel, aprì la prima modisteria al n. 21 di rue Cambon. Nel 1913 inaugurò una seconda modisteria nella nota località balneare di Deauville. In quegli anni, osservando l’abbigliamento degli uomini di mare di Deauville, Chanel iniziò a creare maglioni simili ai loro; in seguito reinterpretò al femminile il blazer di Boy. Da lì il successo. Come scrisse allora la giornalista Janet Flanner: «Chanel ha lanciato la “moda povera”, ha fatto entrare al Ritz i maglioni dei teppisti, ha reso eleganti colletti e polsini da cameriera e foulard da bracciante, ha vestito le regine con tute da meccanico”». E pensare che non sapeva usare ago e filo: «Per prima cosa io non disegno, non ho mai disegnato un vestito. Adopero la matita solo per tingermi gli occhi e scrivere lettere. Scolpisco il modello, più che disegnarlo. Prendo la stoffa e taglio. Poi la appiccicò con gli spilli su un manichino e, se va, qualcuno la cuce. Se non va la scucio e poi la ritaglio. Se non va ancora la butto via e ricomincio da capo. In tutta sincerità, non so nemmeno cucire». Mercoledì 26 alle 18.40, Diva UniversalP [129], le dedica una puntata di Donne nel mito.