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 2014  febbraio 27 Giovedì calendario

IN FILA PER MANGIARE. LA FAME COME ARMA

La fame come arma, la fame per svuotare la pancia e la determinazione di chi chiedeva le riforme, se non la libertà. Il cibo come strumento di potere, come bastone per comandare a chi andranno distribuite le carote. La foto è stata scattata il 31 gennaio alla periferia di Damasco e solo ieri diffusa dall’Onu. Una folla di quelle che vengono chiamate bibliche, in questo caso la scena sarebbe tratta dal Libro dell’Apocalisse, aspetta di ricevere i pacchi di aiuto.
Il campo rifugiati di Yarmuk era abitato da 160 mila palestinesi prima del conflitto cominciato ormai tre anni fa. La maggior parte delle famiglie è scappata: chi ha potuto (privilegiato della disperazione) è diventato ancora una volta un rifugiato in un Paese straniero (il Libano, la Turchia, la Giordania), chi è stato troppo debole o sfortunato ha perso la casa senza riuscire a raggiungere un centro di accoglienza al di là della frontiera. Intrappolati nella violenza. Stremati e stritolati tra i soldati di Bashar Assad e i ribelli. Che si accusano reciprocamente di affamare i civili. La scena del Libro dell’Apocalisse sarebbe incentrata su due cavalieri: la Guerra e la Carestia.
A Yarmuk ci sono ancora 18 mila persone sotto assedio, le truppe lealiste giustificano la punizione collettiva con la presenza dei rivoltosi. Il regime sembra pronto a distruggere parti della sua stessa capitale — il campo è a pochi chilometri dal centro — pur di rimanere al potere.
I movimenti dei convogli umanitari sono complicati da pretesti burocratici, permessi respinti, procedure gestite dai ministeri. Lo ha spiegato Ben Parker, fino a febbraio dell’anno scorso alla guida della squadra di soccorso delle Nazioni Unite dentro la Siria, in un lungo articolo per la rivista Humanitarian Exchange: «La posizione ufficiale del governo di Damasco è che le organizzazioni di aiuto sono libere di andare ovunque. In realtà nelle aree sotto il controllo governativo, cosa, dove e a chi fornire assistenza deve essere negoziato e qualche volta viene semplicemente imposto dal regime». O come dice una donna di Yarmuk in un video pubblicato su Youtube dagli attivisti dell’opposizione: «Non chiediamo un po’ di pane per poi rimanere bloccati qua dentro, aprite la strada, lasciateci uscire così possiamo andare a prendere cibo e acqua».
Assad non vuole le porte aperte. Vuole dimostrare di essere ancora lui a decidere quali dissigillare e quali tenere chiuse.