Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  febbraio 26 Mercoledì calendario

UN MONDO DI SCHIAVI, MIGLIAIA ANCHE IN EUROPA


Sembra la trama di 12 anni schiavo e invece è quanto accade oggi in tutto il mondo. La schiavitù, ufficialmente abolita per legge, è viva e vegeta e colpisce ben 30 milioni di persone, secondo le stime «prudenziali» della Walk Free Foundation, ong australiana che ha deciso di realizzare il primo indice globale della schiavitù.
Malgrado alcune criticità metodologiche (gli stessi ricercatori ammettono un margine di errore del 5-10%), il Global Slavery Index è una buona misura della scala del problema e della sua distribuzione sul mappamondo. I ricercatori hanno quindi potuto stilare una classifica dei paesi a più alta incidenza e rischio di schiavitù.
Il triste primato di paese più schiavista del mondo va alla Mauritania, dove circa il 4% della popolazione si trova in stato di schiavitù (ma secondo una ong citata dal Dipartimento di Stato la cifra potrebbe aggirarsi intorno al 20%). Gli schiavi mauritani appartengono prevalentemente a uno dei tre gruppi etnici principali del paese: gli Haratin o Mori neri. Discendenti di sangue misto berbero-africano, sono una popolazione storicamente discriminata, sottoposta a varie forme di schiavitù ereditaria, prevalentemente domestica. La legislazione è insufficiente (la schiavitù è illegale solo dal 1961) e l’onere della prova resta a carico del denunciante. Poiché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone illetterate e non è consentito alle ong di presentare denuncia a nome della vittima, nei fatti la schiavitù resta un’amara realtà per almeno 150mila persone. Le donne, in particolare, sono le più colpite. La legge non punisce la violenza sulle donne (che restano in condizione di minorità permanente) e il matrimonio infantile. Se una donna viene stuprata può ritrovarsi processata per adulterio.
In seconda posizione troviamo Haiti, con 200mila schiavi, la maggior parte dei quali bambini. Il terremoto del 2010 (300 mila morti, 1,5 milioni di sfollati) ha aumentato la condizione di cronica povertà delle campagne haitiane : le famiglie più povere vendono o cedono i figli a famiglie “cittadine” (in realtà quasi sempre abitanti delle immense baraccopoli di Port-au-Prince) dove in cambio di vitto, alloggio e istruzione, i bambini vengono usati per le faccende domestiche e altri lavori. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, l’atipica adozione si trasforma in una prigionia, dove si negano ai minori cibo, acqua, rifugio, arruolandoli come mendicanti o schiavi del sesso.
Al quarto posto in termini relativi, ma di gran lunga al primo
in termini assoluti, c’è l’India. 13,3-14,7 milioni gli schiavi nel subcontinente, secondo l’indice, mentre il rapporto Trafficking in Persons del Dipartimento di Stato Usa ne stima addirittura tra i 20 e i 65 milioni, il 90% dei quali interni (ovvero indiani ridotti in schiavitù da altri indiani su suolo indiano). La forma prevalente di schiavitù, in India come in Pakistan e in Bangladesh, è quella causata dai debiti. Secondo il governo, dal 1976 (anno di approvazione di una legge contro il lavoro forzato) al 2008 sono stati identificati circa 287mila lavoratori forzati, 267mila dei quali sono stati in seguito riabilitati. Tuttavia la giustizia lenta, le lungaggini burocratiche e l’incoerenza legislativa tra Stati rendono difficile per le vittime far valere i propri diritti. L’India non ha comunque ratificato la Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile del 1999, in compagnia di pochi altri stati: Cuba, Eritrea, Somalia e alcune nazioni insulari polinesiane.
L’Europa è come prevedibile l’area geografica con la minore incidenza del fenomeno schiavitù. Gli schiavi moderni in Europa vengono prevalentemente dall’Asia e dall’Est, la stragrande maggioranza donne costrette a prostituirsi sulle nostre strade.
Ma non tutti i paesi europei se la cavano bene. Se da un lato il gruppo dei dieci virtuosi è composto perlopiù dalle nazioni scandinave (tutte in 150esima posizione), seguite dal grosso dei paesi europei (l’Italia è 132esima), c’è un bel salto prima di arrivare alla, Croazia (61esima). Il peggiore in Unione Europea è la Repubblica Ceca, 54esima posizione ex aequo con la Bulgaria. Oltre 37mila schiavi, secondo l’indice, su una popolazione di appena 10 milioni: un numero in proporzione 28 volte maggiore che in Italia, dove gli schiavi riconosciuti dalla Walk Free Foundation sono 8mila. Sia i ricercatori della ong che quelli del Dipartimento di Stato mettono però sotto accusa il nostro paese per il trattamento riservato ai migranti e potenziali richiedenti asilo, sistematicamente rimandati indietro senza che sia stata prima fatta una valutazione del loro status di potenziali vittime di tratta e schiavitù. Eppure basterebbe poco, sottolineano i ricercatori, per rendere gran parte dell’Unione Europea libera dalla schiavitù.
Il Regno Unito ha fatto in questi giorni il suo primo passo: mentre a Westminster e in Scozia si studiano leggi contro il traffico di esseri umani, pattuglie di poliziotti appositamente formati hanno iniziato a percorrere le sale arrivi dei principali aeroporti, con la missione di riconoscere le potenziali vittime di traffico e schiavitù.