Tito Boeri, la Repubblica 26/2/2014, 26 febbraio 2014
IL GOVERNO SENZA PORTAFOGLIO
IL GOVERNO Renzi è nato senza un ministro per gli Affari europei forse perché il Presidente del Consiglio ha voluto prendersi in prima persona anche questa responsabilità. Il nuovo governo dovrà, in ogni caso, compiere i primi passi a Bruxelles se non vuole vedersi dettata l’agenda da altri. Ha bisogno di aprire immediatamente un negoziato con la Commissione europea anche per solo pensare di raggiungere i due ambiziosi traguardi che si è prefisso.
Saldare subito tutti i debiti commerciali della Pa verso le imprese e ridurre il cuneo fiscale di almeno 10 miliardi. Il negoziato non riguarda tanto lo sforamento del vincolo del 3 percento di disavanzo nel 2014 (troppo presto per aprire questo fronte), quanto la programmazione dei fondi strutturali. Vediamo perché.
I due impegni presi da Renzi nel suo discorso al Senato hanno lanciato il cuore oltre l’ostacolo. È impensabile raggiungerli subito senza aumentare il disavanzo. La spending review difficilmente potrà tagliare le spese per più di 3-4 miliardi nel 2014 e la paventata armonizzazione delle aliquote sulle rendite finanziarie vale qualche centinaio di milioni perché in gran parte è una partita di giro (l’aumento delle tasse sui titoli di Stato fa aumentare gli interessi che lo Stato deve pagare sulle nuove emissioni). Mancano perciò all’appello almeno 6 miliardi di taglio del cuneo da finanziare. Renzi ha anche promesso il saldo dei debiti residui della Pa verso le imprese. Dato che questo debito in parte è legato a spese per investimenti che vanno ad aumentare il deficit, questa operazione farà aumentare ulteriormente il disavanzo.
Da ieri, inoltre, c’è un fatto nuovo che rende il raggiungimento di questi obiettivi ancora più difficile. Le previsioni di primavera della Commissione europea, rese pubbliche mentre Renzi parlava alla Camera, comportano una drastica revisione degli scenari di finanza pubblica per il 2014 presentati dal governo precedente. Con una crescita del solo 0,6 percento (rispetto all’1 percento troppo ottimisticamente contemplato dal governo Letta), il disavanzo a politiche invariate nel 2014 salirebbe di circa 5 miliardi avvicinandosi pericolosamente al 3 percento. In principio, quindi, anche senza il taglio del cuneo fiscale, ma l’accelerazione dell’operazione sui debiti della Pa, ci potrebbero essere gli estremi per richiedere una manovra correttiva volta a far rispettare il vincolo del 3 percento. E un governo che non ha ancora fatto nulla, che non ha ancora attuato alcuna riforma strutturale e che ha già deciso di far aumentare il debito pubblico nel 2014 di 30 miliardi (per effetto dell’operazione debiti della Pa), non ha certo le carte in regola per presentarsi a Bruxelles e chiedere una interpretazione più flessibile delle regole fiscali dell’Eurozona.
È anche discutibile che una eventuale maggiore flessibilità concessaci a Bruxelles risolverebbe il problema. Spesa pubblica o tagli di tasse finanziati in disavanzo non hanno effetti positivi sull’economia se non vengono percepiti come duraturi dalle imprese e dalle famiglie. Intuitivamente sono interventi che verranno prima o poi accompagnati da nuove tasse e, quindi, si mettono i soldi da parte per pagarle in futuro. E come può essere credibile un governo di un paese che ha un debito pubblico al 130 percento del Pil quando taglia le tasse in disavanzo? L’unico modo per avere effetti sull’economia e non preoccupare i mercati consiste nell’avere un piano di rientro di questo disavanzo, con tagli di spesa graduali, ma inesorabili che intervengono nel giro di due o tre anni al massimo, come ad esempio nelle proposte di Roberto Perotti su lavoce. info. Se il governo Renzi ha questo piano, dovrà avere la forza di renderlo pubblico al più presto, sapendo che è un’operazione che ha un costo politico non indifferente soprattutto in vista delle elezioni europee.
Una cosa che però il governo può fare e che ci permette di prendere due piccioni con una fava è negoziare il pagamento immediato (frontloading) di almeno la metà delle risorse stanziate dal bilancio comunitario per i fondi strutturali e destinate al nostro paese nell’esercizio 2014-2020, ottenendo che queste risorse vengano destinate a saldare i debiti commerciali della Pa. Si tratta di una chiara operazione a favore dello sviluppo in un momento in cui le nostre imprese faticano ad accedere al credito. Vale circa 30 miliardi, esattamente quanto ci serve per chiudere la partita. Potrebbe il governo al contempo anche ridiscutere le regole che impongono il cofinanziamento da parte del beneficiario delle risorse dei fondi strutturali. Questa è una richiesta legittima da parte di paesi che stanno compiendo progressi nel ridurre il debito pubblico. E in effetti il nostro paese, saldando i debiti residui della Pa con una migliore programmazione dei fondi strutturali, non farebbe altro che ridurre il debito pubblico implicito.
Non sappiamo se Renzi vorrà dotarsi di un sottosegretario per gli Affari europei per gestire meglio questa delega. Certo il ministro Padoan dovrebbe pensare di dotarsi di un sottosegretario ai pagamenti dei debiti della Pa, cui affidare il compito di monitorare i progressi compiuti dalle amministrazioni centrali e, ancor di più, da quelle locali nel saldare i propri debiti attingendo il più possibile ai fondi strutturali. E dovrà questo viceministro soprattutto vigilare affinché il problema non torni a ripetersi in futuro. Non ci sono purtroppo segnali che il flusso dei ritardi nei pagamenti si sia arrestato.