Raimondo Bultrini, la Repubblica 26/2/2014, 26 febbraio 2014
CORSI DI SESSO A SCUOLA LA SFIDA DI 700 RAGAZZE NEL PAKISTAN DI MALALA
Col velo bianco dell’Islam e gli occhi divertiti o imbarazzati, 700 ragazzine delle scuole elementari e medie di un villaggio del Sindh ascoltano le lezioni di sesso impartite dalle loro maestre e dagli esperti di una Organizzazione non governativa pachistana. Non è parte di un programma scolastico nazionale, perché potrebbe rivelarsi estremamente rischioso in un Paese dove i fondamentalisti religiosi vedono di cattivo occhio perfino il fatto che le femmine vadano a scuola. Ma nel villaggio di Johi, dove avviene l’esperimento delle scuole gestite dalla Shadabad Organisation, gran parte delle famiglie sono tradizionalmente tolleranti, e hanno capito l’importanza di preparare le loro figlie alla pubertà e maturità sessuale senza doverne necessariamente parlare a casa.
Alle lezioni partecipano bambine dagli 8 anni in su, e i maestri riferiscono del loro entusiasmo quando gli viene chiesto che cosa farebbero se un uomo tentasse di palpeggiarle. «Griderei», «lo morderei», «lo graffierei con le unghie», risponde un coro dalle file della classe. Il programma non si limita però alla psicologia della difesa personale dalle aggressioni, che non sono affatto infrequenti soprattutto nel Pakistan rurale.
Parlare di sesso pubblicamente è considerato haraam, ovvero non consono alle leggi dell’Islam, praticate dalla stragrande maggioranza della popolazione. Johi non fa eccezione, con il 100 per cento di musulmani, ma l’iniziativa della Ong — che oltre a gestire le scuole si occupa dell’educazione di base delle popolazioni locali — cade su un terreno particolarmente fertile. «Anche se il programma è finanziato da una società australiana che gestisce delle stazioni di gas BHP Billiton — dice il coordinatore Akbar Lashari — l’idea è venuta dalle stesse famiglie. Del resto non possiamo chiudere gli occhi e ignorare un argomento che fa parte della nostra vita». Altro tema tabù toccato nelle affollate lezioni è quello dello stupro coniugale, del quale si parla ancora meno, per la paura che possa scatenare un delitto d’onore o ulteriori abusi. Il rischio, che nessuno si nasconde, è quello di trasformare centinaia di ragazze in tante potenziali Malala, la studentessa ferita dai Taliban, divenuta un simbolo della lotta per l’emancipazione femminile in Pakistan.
L’interesse per l’esperimento del piccolo villaggio sembra aver mosso altre istituzioni importanti a livello nazionale, come il Sistema Beaconhouse, che sta considerando di adottare il tipo di educazione sessuale praticata a Johi. Perfino un sacerdote moderato del Consiglio degli Ulema ha dato la sua benedizione alle lezioni che secondo lui sono consentite dalla legge islamica della Sharia purché «limitate alla teoria » e impartite da «insegnanti di sesso femminile». Ma già un altro prestigioso college, la Grammar School di Lahore, è stato costretto a eliminare la materia di sessuologia. Per capire il clima, il presidente della federazione delle scuole private pakistane a capo di oltre 150mila istituti scolastici ha detto che l’insegnamento di tale delicata materia «è contro la nostra Costituzione e contro la religione». Sulla stessa linea è il ministro dell’istruzione della provincia del Sindh, che si è detto scioccato alla notizia di un esperimento del genere nella sua regione. «L’educazione sessuale per le ragazze? Come possono fare una cosa del genere? — ha detto il ministro — . Non fa parte del nostro curriculum, né alla scuola pubblica né privata»