Federico Fubini, la Repubblica 26/2/2014, 26 febbraio 2014
“VEDERE PER CREDERE”, LE BANCHE D’AFFARI ASPETTANO LE PRIME PROVE DI RENZI DA PREMIER
Per essere un club con una quota d’ingresso che all’Italia costa cinque miliardi l’anno, Matteo Renzi lo snobba in modo sorprendente. Questa almeno è per il momento l’impressione diffusa a Bruxelles e nelle capitali sull’approccio del nuovo governo verso l’Unione europea. È presto per i giudizi definitivi, forse lo è anche per quelli iniziali, ma gli osservatori europei e quelli sui mercati si sentono già presi in contropiede da alcune delle scelte dell’Italia in questi giorni.
Non è tanto la visione del premier di «un’Europa dove l’Italia non va a prendere la linea» a colpire gli interlocutori esteri. Quella fa parte di una retorica non solo di Renzi, né solo italiana di questi tempi. È piuttosto la concretezza del calendario, delle scelte istituzionali già compiute e dei problemi aperti. Il governo che tra quattro mesi dovrà prendere la presidenza di turno ne ha alcuni molto precisi nel suo rapporto con la Ue: malgrado i netti progressi dell’ultimo biennio, l’Italia resta il Paese con il più alto numero d’infrazioni alle norme comunitarie e il più in ritardo nello spendere i fondi europei. Il Paese deve ancora usare 12 miliardi del vecchio pacchetto di fondi Ue e programmare l’uso di altri 29,6 miliardi fra il 2014 e il 2020. E’ una miniera d’oro non sfruttata in un’epoca di risorse scarsissime. In queste condizioni il contributo netto di cinque miliardi l’anno che l’Italia paga al bilancio dell’Unione europea, una quota di partecipazione salata, rischia di diventare un’arma in mano agli antieuropei in vista del voto di maggio per Strasburgo.
Eppure non è sfuggito a Bruxelles che il nuovo governo non sembra cogliere questi problemi e dà l’impressione di orientarsi in direzione opposta. Dovrebbe accelerare sui fondi europei, per non perderli, ma ha soppresso il ministero della Coesione territoriale che con Carlo Trigilia se ne occupava molto efficacemente. Peraltro, non è ancora del tutto chiaro a chi andranno le sue competenze. Dovrebbe mettersi in regola con le troppe violazioni del diritto comunitario, che costano all’ambiente, alle imprese e ai consumatori, ma non ha più un ministro agli Affari europei. Come Trigilia, Enzo Moavero Milanesi a giudizio di tutti in Italia e fuori aveva fatto un lavoro di primo piano, ma a lui è stato offerto solo un posto di sottosegretario. Anche se accettasse, non sarebbe comunque facile per lui riprendere i rapporti in Europa dopo un declassamento del suo rango. Stesso stupore ai vertici della Commissione europeo per il fatto che il governo abbia scelto di rinunciare a un ministro europeo proprio ora che il semestre di presidenza sta per partire.
Un avvio efficace sul piano di riforme del governo può dissipare molte di queste perplessità. Del resto questo è esattamente l’atteggiamento con il quale anche gli analisti di mercato stanno guardando a Renzi in queste ore: dubbi sull’approccio ma forte interesse per parti del programma. In un rapporto intitolato “I dolori del giovane Matteo Renzi”, la banca americana Citigroup ieri ha sottolineato alcune di quelle che considera le sue contraddizioni: il fatto che debba fare affidamento sulla stessa maggioranza di Enrico Letta e su buona parte dei suoi ministri (ma non sui più efficaci come Trigilia e Moavero), la tentazione dei suoi nemici politici nel Pd di frenare il corso delle riforme in Senato per fargli perdere di credibilità in vista delle europee, la difficoltà di credere al calendario di riforme sul lavoro, sul fisco o sulla burocrazia in cento giorni. «Vale la pena notare che secondo la Banca Mondiale — scrive Citigroup — in Italia possono servire cento giorni solo per connettere la propria impresa alla rete elettrica». Anche Wolgango Piccoli di Teneo Intelligence si concentra sulle fragilità politiche come ostacolo sul cammino di interventi vaghi, ma condivisibili. «Renzi si è assicurato una maggioranza più debole del previsto in Senato », scrive Piccoli. Quante alle riforme, aggiunge, «quelle messe in primo piano sono ambizione, ma è mancata la chiarezza sull’attuazione e sulle coperture finanziarie».
Esattamente nello stesso senso va il giudizio di Fabio Fois e Giuseppe Maraffino di Barclays. Scrivono i due analisti italiani della banca di Londra: «Concordiamo con le priorità presentate nell’agenda di riforme, ma preferiamo aspettare i dettagli prima di esprimere un’opinione». E avvertono: «I titoli di Stato italiani hanno tenuto bene sul mercato fino a questo momento, ma la loro performance futura dipende dai risultati del governo: i mercati vogliono vedere per credere». Intanto si profila già il primo test europeo, quando Renzi dovrà andare a Berlino con quattro ministri a incontrare la cancelliera Angela Merkel. Quel giorno il premier rischia di capire che luna di miele del premier in Europa e fra gli investitori esteri rischia di durare anche meno di quella con i sanatori in Italia.