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 2014  febbraio 26 Mercoledì calendario

DAL BERLUSCONI GALANTE A RENZI QUANDO LA POLITICA SI FA COI PIZZINI


SCUSA l’ingenuità, caro Luigi — così si rivolge, a suo modo preveggente, il premier Renzi al vicepresidente cinquestelle della Camera Di Maio — ma voi fate sempre così?»...
Pissi pissi bau bau, ma per iscritto. Quindi il capo del nuovo governo, che ha una calligrafia piuttosto volitiva e quasi tutta in stampatello, continua: «Io mi ero fatto l’idea che su alcuni temi potessimo davvero confrontarci, ma è così oggi per esigenze di comunicazione o è sempre (sottolineato, ndr) così ed è impossibile confrontarsi? Giusto per capire. Sul serio, senza alcuna polemica”. Firmato: Matteo.
Poi piega il foglio, chiama il commesso d’aula e per il bigliettino comincia un’avventura che dagli scranni del governo, a Montecitorio, è destinata a concludersi su Facebook. Infatti Di Maio, che ha una scrittura piuttosto infantile, risponde: «Ciao, 1) guida al regolamento: i banchi del governo devono essere liberi da deputati quando qualcuno parla in aula. Il governo è tenuto ad ascoltare i deputati. La Boldrini doveva richiamare la Polverini. Non lo ha fatto. 2) — e qui anche Di Maio scrive in stampatello — Forse non è chiaro che in un anno abbiamo visto di tutto. Abbiamo visto la tua maggioranza votare in 10 mesi: 2,5 miliardi di euro di condono alle slot-machine. 7,5 miliardi di euro alle banche. 50 miliardi di euro per gli F35. Che ti aspettavi, gli applausi?».
Ma il giovane presidente, di cui pure è conclamato il gusto per il rischio, insiste con il più antico sistema di comunicazioni. Altro foglietto, altrimenti detto «pizzino», altra penna, che stavolta è rossa, e altro messaggio: «Capisco. Se vedi occasioni reali (sottolineato, ndr) di dialogo, nell’interesse dei cittadini (a me della parte mediatica interessa il giusto, ognuno fa la sua parte), fammi sapere. So che parli con Giachetti — se ti va bene utilizziamo lui come contatto. Se ci sono cose fattibili insieme, alla luce del sole, nell’interesse degli italiani, io ci sono. Buon lavoro». Ari-firmato, Matteo.
Di Maio, che dal vivo è molto meno scostante di quanto appaia in prosa, replica: «Io parlo con Giachetti perché lavoriamo insieme ogni giorno. Come tanti nostri colleghi lavorano in commissione. Il Parlamento serve a questo. Però ora basta con questi biglietti berlusconiani. ci vediamo alla prova dei voti, in aula, davanti al paese intero». Segue freddamente la sigla LDV. Ma come Lenin nel 1917 a quel punto il vicepresidente dell’assemblea ha già deciso di proclamare unilateralmente la fine della diplomazia segreta.
Ora è chiaro che da tempo immemorabile nelle lunghe sedute i parlamentari si scambiano bigliettini. Andreotti, per dire, lo faceva spesso. La storia ha tramandato un suo perfido foglietto inviato a Ingrao sui voti raggiunti dal Pci nel suo paese, Lenola, appena 7 su 3000; così come risale al Divo un commento agrodolce su Emma Bonino, «Metà Giovanna d’Arco e metà Vispa Teresa». Allo stesso modo Ugo La Malfa teneva anche gli originali delle risposte, oggi consultabili negli annali della Fondazione, tra cui un Napolitano che a proposito di Moro, dopo il discorso sulla Lockheed (1977), gli scriveva: «E’ questo l’uomo di cui mi parlavi sere fa? Ahimè...».
Altri tempi, altre figure, ma più che altro quei pochi i bigliettini di cui si sapeva erano rivelati addirittura postumi. Mentre oggi sono all’ordine del giorno; con il che Di Maio si riferisce a Berlusconi probabilmente per via del mini-carteggio intercettato da potenti teleobiettivi in una delle prime sedute della XVI legislatura (2008). Allorchè, rivolgendosi alle graziose onorevolesse De Girolamo e Giammanco all’apice del successo politico e del collegato surriscaldamento psicoemotivo, il Cavaliere si lasciò andare: «Care Nunzia e Gabry state molto bene insieme! Grazie per restare qui ma non è necessario. Se avete qualche invito galante per colazione vi autorizzo (sottolineato, ndr) ad andarvene». E sul retro: «Molti baci a tutte e due!!! Il “vostro” presidente». A riprova che il guardare dal buco della serratura sarà pure maleducazione, ma conferma i più spassosi dubbi.
Da quel momento in poi, grazie al supporto tecnologico che sempre più metteva in scacco il regime delle apparenze e delle finzioni, s’è aperta una stagione di diffusi e per alcuni versi anche preziosi disvelamenti bigliettineschi. Per sommi capi: un messaggio di Anna Finocchiaro a Luigi Zanda con lamentale veltroniane su certi incarichi attribuiti al senatore La Torre; poi dei complimenti di Fini («bravo!») a Casini dopo un intervento sull’arresto o meno dell’onorevole Cosentino; quindi, nei primi giorni del governo Monti, una specie di profferta con cui un entusiastico Enrico Letta («Per ora mi sembra tutto un miracolo!») si rendeva disponibile a compiti di collegamento; e infine i simpatici rallegramenti che il senatore Naccarato offriva sempre a Casini: «Bravo Pier, ti sei cucinato Monti».
Se ne parla per uno o due giorni, poi tutto si dimentica. Qualcosa resta, ma nella confusione o forse nella convenienza. Renzi ci ha provato, i grillini gli hanno fatto uno scherzo, ma al dunque se si rileggono quelle povere parole viene perfino il sospetto che i due fossero non si dice qui d’accordo, ma almeno consapevoli che sarebbe potuta finire in quel modo.
Forse pure questa è post-politica. Pissi pissi, bau bau con dispositivo a breve scadenza. Con le sue sintesi obbligate e il suo circuito chiuso, nell’insorgente cultura dei bigliettini e della trasparenza obbligata si misura il senso di una politica inesorabilmente diminutiva, rimpicciolita e in qualche modo anche rassegnata al proprio immiserimento.