Francesco Ridolfi, Il Fatto Quotidiano 26/2/2014, 26 febbraio 2014
D’ALFONSO
& POLITICA: TUTTO A SCROCCO E SOLO IN CONTANTI–
Tutte le esagerazioni e le gonfiezze che hanno caratterizzato la condizione degli eletti saranno oggetto di un’attenta politica di riforma, prima ancora che se ne occupino Renzi e il governo. Dobbiamo lavorare in modo che tra eletti ed elettori non ci sia quel distacco da odio e antipatia”. Strane ma sante parole, pronunciate in conferenza stampa, il 14 febbraio scorso, dall’ex sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso (Pd). Arrestato nel dicembre 2008, quando era in carica, per mazzette, ora, forte dell’assoluzione in primo grado nel processo Housework, corre per la poltrona di governatore d’Abruzzo, dopo che la giunta di Gianni Chiodi è stata travolta dagli scandali. E soprattutto dopo che il suo centrosinistra ha perso la regione il 14 luglio 2008 in seguito all’arresto del governatore Ottaviano Del Turco, poi condannato in primo grado a 9 anni e 6 mesi per corruzione.
La discesa in campo
Chissà cosa ne penserà il Rottamatore Matteo Renzi. Le primarie di coalizione in Abruzzo saranno il 9 marzo, e D’Alfonso è dato per favorito nonostante la tempesta giudiziaria che non è finita. Il pm Gennaro Varone, infatti, ha presentato ricorso in appello contestando l’assoluzione di D’Alfonso con argomenti durissimi. Ricostruisce gli anni di governo D’Alfonso e i suoi rapporti con gli appaltatori, comprese le dazioni che questi versavano al collaboratore Guido De-zio, “fraterno e fidato collaboratore del sindaco”. Allo stesso Dezio fu sequestrato un foglio su cui erano annotati, in codice, i nomi degli imprenditori e le cifre incassate (o da riscuotere). Un sistema che il pm sintetizza come “corruzione non continuata, ma permanente”. Tutti soldi che per l’accusa finivano nelle tasche dell’allora sindaco. Ma quel che sorprende – nella lettura delle oltre 300 pagine con cui il magistrato chiede una rilettura delle carte processuali e la condanna per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e altri reati tipici –, è la tesi accusatoria secondo cui né D’Alfonso, né sua moglie Livia Del Bianco, né i suoi genitori, Quintino D’Alfonso e Flora Del Ponte, né il fratello Alcide, abbiano apparentemente speso un euro per vivere negli anni in cui il loro familiare era in carica. Non sono stati usati bancomat, rarissimamente carte di credito. Come se una famiglia con tre case, auto di lusso, che fa viaggi all’estero, non avesse bisogno di pagare bolli e bollette, fare la spesa e via dicendo. Anche parte dell’acquisto di auto e case avvenivano in nero. La Procura è convinta che i D’Alfonso spendessero i contanti provenienti dalle presunte mazzette.
La vita a costo zero
D’Alfonso è titolare di quattro conti correnti a Pescara, la moglie di uno. Insieme hanno vari libretti presso le Poste. “I conti correnti – scrive il pm – risultano alimentati da bonifici di enti con i quali D’Alfonso intrattiene rapporti istituzionali o di dipendenza. Essenzialmente bonifici dal Comune di Pescara (la maggior fonte di reddito), Saga (faceva parte del cda, ndr), Centro Agroalimentare e Università dell’Abruzzo”. In media 54 mila euro l’anno di entrate. In più, sempre negli anni in questione, versa in contanti 34 mila euro. La moglie non ha redditi, ma versa 5 mila euro. I soldi entrano, ma non escono. Scrive il pm: “I rapporti bancari e postali, nel periodo che va dalla giugno del 2004 sino al settembre 2006, mostrano le seguenti caratteristiche: non vi sono prelievi di denaro per spese ordinarie”. Gli unici prelievi si sono verificati per utilizzi che “lasciano presumere il pagamento di spese straordinarie”.
Nemmeno il bancomat
E ancora: “Non vi è uso del bancomat per eseguire pagamenti ordinari. Anzi, non vi è affatto uso del bancomat, se si esclude l’uso del postamat da parte della Del Bianco per modestissimi importi , con zero prelievi a gennaio, febbraio, marzo, luglio, agosto settembre dell’anno 2004, e modestissimi negli altri mesi: 25 euro a novembre 2004. E 100 euro a dicembre 2004; nel corso dell’anno 2005 un unico prelievo: euro 33,80 il 29 giugno 2005; nessun prelievo nel corso dell’anno 2006. Le uscite – prosegue il magistrato – se si escludono quelle per spese straordinarie, tutte connesse alla costruzione della casa di Lettomanoppello e all’acquisto della casa di via Salita Zanni (vedi l’articolo qui sotto, ndr) sono tramite carta di credito; e per spese straordinarie (pranzi in ristoranti, acquisti di beni mobili o presso boutique). Nulla di quanto sia ordinario (market, auto, telefono, figli, tasse, esigenze quotidiane, ecc.) nella vita di ognuno di noi”. Insomma, secondo l’accusa l’entità delle uscite dai conti correnti è così bassa da risultare “incompatibile con le necessità di un nucleo familiare di cinque persone (i coniugi D’Alfonso hanno tre figli e la Del Bianco non aveva attività lavorativa) dotato di due autovetture e ben tre abitazioni: dal momento che per alcuni mesi essa è inferiore ai 50 o ai 100 euro; per altri pari a zero (a titolo esemplificativo: euro 62,60 nel gennaio 2006; euro 34,78 nel marzo 2006; euro 18,03 settembre 2006 – nonostante il viaggio in Santiago de Compostela; euro zero nel marzo 2005; euro zero nel mese di aprile 2006 – nonostante il viaggio a Malta e Venezia)”.
Elevata corruzione
Per la Procura, uno stile di vita del genere è “compatibile soltanto con l’esistenza di entrate extra-contabili, considerazione che fornisce riscontro all’accusa di corruzione elevata. D’altro canto D’Alfonso, nel volgere di tre anni, ha costruito una villa di importante valore economico; ha acquistato una casa in zona pregiata della città; ha acquistato un autoveicolo lussuoso; ha mantenuto l’abitazione di Francavilla al Mare. Le uscite conseguenti al tenore di vita, che tali investimenti e possedimenti attestano e impongono, appaiono del tutto sproporzionate alle entrate dichiarate”. È vero d’altra parte che D’Alfonso è stato assolto al processo di primo grado. Ma la Procura di Pescara sembra non capacitarsene: “Il Tribunale valuta la complessa trama della vicenda come se possa ritenersi davvero ordinario e, dunque, privo di significato processuale che un sindaco si rechi in banca a versare mazzette di banconote per migliaia e migliaia di euro e che esegua acquisti in contanti per svariate decine di migliaia di euro senza alcun prelievo da rapporto bancario, proprio o dei propri familiari”.
The family
Infatti anche gli altri componenti della famiglia hanno una gestione insolita del denaro. Il padre Quintino, pensionato, a fronte di un reddito medio di 18.200 euro annui, versava in banca, dal 2003 al 2008, 91.626 euro. Tutti in contanti. La madre Flora De Ponte pensionata, versava, a fronte di redditi per 6.500 euro l’anno, 44.546 euro dal 2003 al 2007; il fratello Alcide, con moglie e due figli a carico, a fronte di entrate da lavoro e pensione pari a 26 mila euro l’anno, versava dal 2003 al 2008 63.660 euro. Scrive il pm: “Quintino D’Alfonso esegue versamenti, con cadenza mensile, senza procedere a prelievi conseguenti alle prime necessità per diversi mesi di seguito. Si può dire che tutto il reddito apparente del Quintino è versato su questo rapporto, senza uscite”. Per l’accusa, “D’Alfonso Luciano, genitori e fratello versano a getto continuo denaro, dimostrando una disponibilità enormemente superiore a quella consentita dalle fonti di reddito. Le esigenze familiari e personali quotidiane, delle quali ognuno di noi può rendersi conto a fine mese, sono coperte con altri proventi. Chi scrive crede che anche il più ingenuo dei lettori capirebbe essersi di fronte a entrate illecite”. Ma l’ex sindaco ha ottenuto l’assoluzione spiegando che viveva con la pensione della zia e l’aiuto dei parenti.
Anche oggi D’Alfonso si mostra tranquillo: “Mi sono sempre difeso nel processo, rispondendo nel merito alle accuse che mi sono state mosse e vedendo riconosciuta per 52 volte la mia innocenza dai Tribunali, nei vari gradi di giudizio”.