Tony Damascelli, il Giornale 26/2/2014, 26 febbraio 2014
LA DYNASTY PUGLIESE CHE SOGNAVA DI ESSERE AGNELLI O KENNEDY
È fallita anche l’impresa di illuminazione votiva. Si è spenta la luce eterna del camposanto di Bari, figuratevi se i Matarrese potevano resistere oltre. Fine di una storia, il Bari calcio abbassa la saracinesca, è in autofallimento. Dopo gli autogol truccati nei derby questa è una cosa più maledetta, più vergognosa. Dopo trentasette anni si conclude in bianco e nero, anzi in rosso pieno, il film a colori dei Matarrese, la sacra famiglia che ha resistito a tutto, anche a se stessa. Quando Antonio incominciò l’avventura nel Settantasette si presentò con un azzardato slogan: «Saremo la Juventus del sud». Sarebbe bastato essere ’il’ o ’la’ Bari di sempre. Ma i sogni metropolitani, la presunzione provinciale, le promesse dei sopracciò hanno bruciato la pellicola e le speranze dei tifosi ridotti al nulla, rassegnati, delusi, arrabbiati, sfiniti.
I Matarrese non intendono versare più un solo euro per la squadra di pallone, hanno esaurito la passione e la cassa, hanno assistito al degrado di un club che avevano portato a quattordici anni di permanenza in serie A, hanno ricevuto minacce fisiche, bombe, colpi di pistola, telefonate anonime, hanno partecipato alla sagra paesana di finti compratori, texani, russi, canadesi, spacciatori di falsi nemmeno d’autore, hanno visto il Bari crollare come l’edificio di Punta Perotti da loro stessi costruito, hanno retto più di Massimo Moratti, non sono fuggiti come Tanzie Cragnotti anche se i debiti sono pesanti, trenta milioni, oltre forse, ventidue dei quali verso l’Erario, gli altri verso fornitori, stipendiati e consulenti di ogni tipo, hanno partecipato alla lite condominiale con il sindaco Emiliano, hanno chinato il capo dinanzi al pignoramento del cartellino di un loro calciatore dipendente, Galano, hanno pensato di navigare a vista mentre la nave continuava ad imbarcare acqua. Antonio e Vincenzo hanno fatto staffetta alla guida del club ma il marchio della famiglia è rimasto quello sempre, calce e pallone. Antonio sognava lo scudetto e ha perso anche lo scudo della Democrazia Cristiana, nemmeno le preghiere di suo fratello vescovo sono servite a salvare il Bari dall’inferno, senza nemmeno passare dal purgatorio. Li chiamavano i Kennedy del sud, anche questa è stata un’ etichetta ridicola, per fortuna con un epilogo meno tragico. In verità i Matarrese di Andria non sono mai stati considerati baresi veri, se non nella pronunzia e nell’accento del loro dire, a volte macchiettistico per la velocità delle parole e per la mimica che le accompagna. Non vorrei essere accusato di discriminazione territoriale ma l’origine non è un dato marginale in una città quale è Bari, con il superiority complex su molto, quasi su tutto.
Questo non c’entra con il tramonto non soltanto di una squadra ( dovrei dire anche di una città) ma di una dinastia che ha corso in fretta, troppo in fretta tra impresa, religione e politica. Il divo Antonio ha avuto miniere d’oro tra le mani, Lega calcio, Federcalcio, Uefa, Fifa, oggi è polvere, memoria di un tempo che è davvero antichissimo, quando Antonio stava seduto a fianco di Blatter, cenava con Platini, dialogava con i grandi del football mondiale, oggi riceve la visita dell’ufficiale giudiziario, controlla i conti con il giudice fallimentare. Una volta scrissi che Antonio Matarrese si siede a capotavola anche quando mangia da solo, intendevo dire che il potere, quello del football in particolare, combina brutti scherzi, quando lo specchio va in frantumi scopri una realtà diversa, opposta a quella riflessa e cerchi di inseguire i fantasmi. Il Bari dei Matarrese questo era diventato e così è finito. Ha avuto la gloria dei Platt e dei Boban e con quelli retrocesse in serie B, ha lanciato Cassano portando a casa un montepremi di sessanta miliardi mai reinvestiti sul serio, è stato umiliato e offeso dai trucchi dei suoi calciatori scommettitori, non ha saputo reagire pensando di poter continuare a vivere, invece stava sopravvivendo. «Starò nel calcio fino a quando non mi chiamerà il Signore », aveva detto Antonio Matarrese fidandosi delle vie infinite. Ma la strada è chiusa, il binario morto, il Signore ha altre priorità e altre partite da giocare, Matarrese può ritirarsi in pace, concedendosi alla famiglia. Il Bari vale 15 milioni di euro, meno di un buon attaccante di serie A. Il fallimento cancella trentasette anni di cronaca e una dinastia.
Resta la storia di una squadra che nessuno potrà mai né vendere, né comprare.