Anna Zafesova, TuttoScienze, La Stampa 26/2/2014, 26 febbraio 2014
IL GENIO AUTODIDATTA CHE ISPIRÒ LO SPUTNIK
Nell’«Alfabeto russo», il videoclip che ha aperto la fantasmagorica cerimonia inaugurale dei Giochi di Sochi, c’era anche il suo nome, accanto a Tolstoi, Chaikovsky, Gagarin, agli zar e alle scatolette di legno laccato, un simbolo nazionale di quelli indiscutibili. In suo onore sono state intitolate città, eretti monumenti, coniate medaglie e stampati francobolli. Fuori dalla Russia, però, Konstantin Ciolkovsky resta noto per lo più agli addetti ai lavori, in un destino postumo strano quanto quello in vita.
Autodidatta, non è riuscito a conquistare un solo primato scientifico e perfino l’equazione che porta il suo nome, e che descrive il principio base del moto dei razzi a propulsione, non è stata inventata da lui: l’inglese William Moore la mise per iscritto 90 anni prima dell’uscita dell’«Esplorazione degli spazi cosmici con razzi a propulsione», pubblicata da Ciolkovsky nel 1903. Per alcuni è un impostore, non riconosciuto dalle autorità a lui contemporanee e diventato idolo della propaganda di Stalin più per il messaggio ideologico dei suoi scritti che per reali meriti scientifici, per altri resta un genio insuperabile uscito dal profondo della Russia per portare la sua gloria verso le stelle.
Un sogno nato in uno dei posti meno propizi alla sfida e al sogno: figlio di nobili polacchi impoveriti, Ciolkovsky viene dalla provincia russa, strade fangose e casette di legno, contadini ubriachi e inverni interminabili. Il romanziere britannico Tim Bullough, nella biografia «Il bambino che inventò lo stelle», in uscita presso Piemme, racconta il mondo del piccolo «Kostya» con tinte che ricordano i grandi russi dell’800, la miseria e lo squallore della vita degli umani contrapposti al fascino e alla magnificienza della natura ancora selvaggia. A 9 anni Konstantin resta quasi sordo dopo una febbre. Un handicap che segnerà il resto della sua vita, rendendo un ragazzino già introverso per natura un recluso, scontroso e timido nello stesso tempo. Rifiutato dalla scuola, studierà a casa, diviso tra il pragmatismo e la passione per la tecnica del padre e il misticismo della madre. Costruisce modellini e strumenti e si fa da solo un corno acustico per cercare di interagire con il mondo. A 17 anni viene spedito a Mosca, dove non riesce a iscriversi all’università e vive nella biblioteca pubblica, impartendosi da solo lezioni di fisica, matematica, chimica e meccanica. Dopo tre anni di stenti - dei 10 rubli che gli manda il padre ogni mese spende solo 90 centesimi in pane e acqua per poter comprare libri - comincia una battaglia per la sopravvivenza che durerà tutta la vita, tra supplenze in scuole di provincia e tentativi di pubblicare i suoi lavori.
La sua fuga dalla realtà opprimente, però, è forse la più radicale mai sperimentata: il povero e imbranato insegnante di Kaluga teorizza i viaggi spaziali, pianeti colonizzati, stazioni orbitanti e soprattutto razzi. E’ il primo a proporre un razzo a più moduli e a calcolare la velocità per uscire in orbita. Per anni cerca di progettare un dirigibile, snobbato dai luminari di Mosca e Pietroburgo. «Inventa» la teoria cinetica dei gas, salvo scoprire che era già stata descritta qualche anno prima, ma lui nella sua clausura non lo sapeva. Nello stesso modo riproduce le teorie dei fratelli Wright, ignorandone l’esistenza, e tira fuori l’equazione che porterà il suo nome. Ma soprattutto sogna un’umanità illuminata dalla ricerca e dalla conoscenza, una società perfetta così lontana da quella in cui vive.
Mentre la sua vita terrena scorre tra tragedie - due figli suicidi, incendi, alluvioni, malattie - nei suoi libri, metà trattati scientifici e metà romanzi utopici che spaziano tra cosmismo ed eugenetica, getta le basi di quella che sarà l’ispirazione del programma spaziale sovietico. Muore nel 1935, il giorno dopo aver ricevuto una lettera di auguri da Stalin. Nel 1957 il suo sogno diventa realtà: l’Urss lancia lo Sputnik e sceglie di farlo nel 100° anniversario dalla nascita di questo strano genio autodidatta.