Aldo Fittante, SportWeek 22/02/2014, 22 febbraio 2014
PIETRO SERMONTI IL MIO MONDO A STRISCE BIANCONERE
Memore del Robert Duvall di Apocalypse Now, Pietro Sermenti entra in uno stadio «per sentire l’odore dell’erba» e la cosa che lo emoziona di più è «vedere il rettangolo verde, anche se la Juve giocasse contro l’Abbiategrasso». E se i telespettatori tradizionali lo conoscono soprattutto per il ruolo di Guido Zanin nella serie Un medico in famiglia, per l’Archie Goodwin assistente di Nero Wolfe e per il recente Anna Karenina, i giovani per il suo mitico Stanis La Rochelle nella serie di culto (e poi nel film) Boris e gli amanti del teatro per l’ultima tournée con il musical tratto da Full Monty, le curve degli stadi – il suo palcoscenico preferito – lo continuano a ospitare nei panni di ultrà, lui romano di Testaccio (fortino giallorosso) abbonato a vita ai colori bianconeri («mi faccio anche nove ore di treno per seguire i ragazzi»), opinionista sui generis per Jtv («finalmente il mio mestiere d’attore ha un senso») e testimonial per lo spot che promuoveva la costruzione dello Juventus Stadium. Una passione viscerale che è anche nel sangue: la mamma. Samaritana Rattazzi, è infatti una delle figlie di Susanna Agnelli; «Sono juventino fino all’ultima cellula».
Lei è stato anche trequartista nelle giovanili della Juve, come mai ha abbandonato il calcio?
«Soffrivo di pubalgia, come il mio idolo Michel Platini. Naturalmente l’ho vissuta come un segno. Erano gli Anni 80 e sono stato una delle prime vittime del 4-4-2».
Le resta sempre la Nazionale attori, con cui gioca molto e bene...
«Mi diverto. E un giorno mi piacerebbe allenare, magari i bambini, cercando di inculcare loro la filosofia anglosassone: detesto chi si lamenta, chi finge, chi non rispetta gli avversari; in questo sono molto birindelliano».
E poi, soprattutto, c’è il Sormonti tifoso. Riesce a conciliare gli impegni professionali con quelli della Juve?
«Non sempre. Per esempio, quando abbiamo girato Vinodentro (giallo che uscirà nelle sale prossimamente) il direttore della fotografia ha preteso che girassimo quasi sempre dalle 7 di sera alle 7 del mattino, e durante le riprese la Juventus giocava contro lo Shakhtar. Se sullo schermo gli spettatori percepiranno del nervosismo, sappiano che non era previsto dal ruolo...».
Ora lei è nelle sale con una commedia atipica e scoppiettante, assolutamente da non perdere. Smetto quando voglio, in cui è un laureato in Antropologia Culturale, esperto in mimesi concettuale. Com’è nata questa avventura?
«Amo da sempre lavorare in gruppo, coinvolgermi in operazioni corali. Quando ho letto la sceneggiatura, ho capito subito che si trattava di qualcosa di veramente unico e diverso: solo un pazzo non avrebbe accettato di prenderne parte».
E gli incassi vi stanno dando ragione...
«Sì, il passaparola è ottimo e il film sta andando oltre le più rosee aspettative. Siamo davvero molto felici».
Ultrà è sinonimo di passione. Meglio il cinema, il teatro o gli spalti?
«Il cinema è onanismo allo stato puro. Il teatro, invece, è simile a una partita di calcio: c’è uno scambio vero tra spettatori e protagonisti, lo scontro drammatico, ci sono le reazioni in tempo reale. Allo Juventus Stadium, poi, pare di stare in prima fila...».
Se domattina potesse chiedere ad Andrea Agnelli un giocatore per la Juve di Conte, chi gli consiglierebbe?
«Messi, su tutti. Ma che dire di Suarez, Hazard, Ibra? Cristiano Ronaldo, certo, anche se è un po’ troppo Robocop per i miei gusti da trequartista...».
L’emozione più grande?
«1977, finale di Coppa Uefa con l’Athletic Bilbao: è lì che ho capito tutto».
Un pronostico per campionato. Europa League e Mondiale.
«Scusami, sono superstizioso, nessun pronostico. Dico solo che per lo scudetto è ancora dura, la Roma è fortissima. E che per l’Europa League c’è la suggestione della finale in casa».