Luca Castaldini, SportWeek 22/02/2014, 22 febbraio 2014
HO SOLO CAMBIATO CAMPO
Farà un certo effetto oggi scorgere Andrea Lo Cicero in tribuna all’Olimpico. C’è Italia Scozia del Sei Nazioni, lui se la vedrà con un gruppo di manager, di cui sarà il titolato cicerone. Farà effetto perché la sua ultima volta in quello stadio undici mesi fa, per il match vinto con l’Irlanda l’avevamo lasciato mentre al giro d’onore, con la maglia azzurra addosso, il tricolore in mano e tante lacrime agli occhi, dava l’addio al rugby dopo 103 caps in Nazionale, record assoluto. Andrea, 38 anni il prossimo 7 maggio, la scorsa primavera avrebbe anche potuto continuare a essere un pilone di livello internazionale. A Parigi, aveva un altro anno di contratto con il Racing, ma evidentemente voleva uscire in tutti i sensi dalla mischia.
Lo stuzzicava l’idea di divertirsi con i team building dei colletti bianchi («Faccio fare le mischie in ufficio e le touche in cortile, anche se indossano camicia e cravatta sai come si divertono») e probabilmente già sapeva che, da ambasciatore dell’Unicef, pochi mesi dopo l’addio alla palla ovale si sarebbe emozionato durante il viaggio in Eritrea: «Sono andato lì a luglio, per il progetto Donkey for School. Prevede che le famiglie con figli disabili o che hanno problemi motori “adottino” gratuitamente un asino, con il quale i bambini possono andare a scuola e, in generale, uscire da una casa dove sarebbero altrimenti imprigionati o abbandonati a loro stessi». Andrea ha avuto anche la tentazione di trasformarsi in “cattivo”, ma solo in tivù. «In Giardini da incubo (da aprile su Sky; ndr) diventerò un perfido giardiniere, un Gordon Ramsay con il pollice verde, che deve coinvolgere i proprietari di alcune ville a far rivivere i loro giardini, dimenticati da tempo».
Più di tutto, però, nella decisione di lasciare il rugby ha probabilmente pesato la voglia di godersi la vita in campagna dopo diversi anni in cui se l’era immaginata e basta, dalla casa di Trastevere o a Parigi. La zona è quella di Nepi, a metà strada tra Roma e Viterbo. Qui ha deciso di allevare e coccolare i suoi asini ragusani (cinque, per ora) e allestire l’orto con il radicchio, la cicorietta, i cavolfiori e i broccoletti. Ma anche di spalare letame, alzarsi presto al mattino, arare il campo, concimarlo e sistemare le rotoballe, sempre insieme al fattore Luciano.
«Questo adesso è il mio mondo», dice indicando la casa dove vive con la fidanzata Roberta e il vasto terreno circostante, in cui per ora c’è l’area recintata dove pascolano gli asini, più un paio di casette. Una è ancora vuota mentre l’altra è il garage che ospita gli attrezzi da provetto Cincinnato, compreso il trattore con firma personalizzata sul cofano, oltre all’amata R90S del 1976 (l’anno di nascita dell’ex pilone), la moto che ha riportato in Italia dopo gli anni francesi.
La zona di Nepi Lo Cicero la scoprì una decina d’anni fa «accompagnando un amico che voleva acquistare un terreno. Questo... Che poi finii per prendere io». Perché? «Per vivere all’aria aperta, farmi 300 metri quadrati di orto e piantare gli alberi da frutta. Disegnarmi una vita un po’ diversa insomma, dove non c’è più un club e uno staff che fa di tutto per farti pensare solo a giocare ma ogni giorno devi affrontare ogni situazione da solo, come una persona “normale”».
In tutto, l’azienda agricola “I Scocchi” (asini, in catanese) si estende per dodici ettari, delimitati a est dal bosco e a sud dalla Via Francigena. «Quanti camminatori passano, non pensavo fossero così tanti. Qualche straniero appassionato di rugby ogni tanto mi riconosce anche se, anziché i pantaloncini e la maglietta, indosso gli stivaloni di gomma, tengo spesso la barba incolta, giro con il badile in mano o sono a bordo del trattore».
Gli asini giocano e pascolano placidi finché “Cincinnato” non si avvicina loro con il secchio del pastone. «Per ora sono cinque. Oltre a Zaira e Alessia, che tra qualche mese partoriranno, ci sono Carlotta, Cleopatra e Poppea, le ultime due chiamate così in onore di due personaggi storici che facevano tradizionalmente il bagno nel latte d’asina». Da anni, insieme all’idea ormai svanita di andare all’Olimpiade da velista («È saltato tutto perché mi hanno tolto la classe Star...»), il sogno dichiarato di Lo Cicero era proprio quello di allevare asini, sia per aiutare persone con disturbi psichici e motori, sia per far bere il latte di questi animali ai bambini che soffrono di particolari patologie o intolleranze. «Tra l’orto e il bosco sorgerà la struttura che comprende la sala della mungitura e lo spazio didattico in cui accoglieremo le scolaresche. Saranno 250 metri quadrati, con copertura in legno e struttura in paglia e cannucciato, come quelle che ho visto di persona in Sudafrica». Dietro casa dovrebbe invece esserci 11 parcheggio per i pullman. «Dovrebbe. Condizionale. Perché purtroppo mi sto scontrando con una burocrazia pazzesca, dai tempi infiniti. Ogni tanto mi scoraggio, poi da rugbista mi dico: mollerai mica adesso. Di sicuro voglio fare tutte le cose per bene, con autorizzazioni e permessi. Già oggi in molti mi chiedono se posso vendere il latte d’asina. Rispondo di no. Io posso anche bermelo, ma agli altri voglio darne solo di pastorizzato e sicuro al cento per cento».
Andrea non ha comunque tagliato i ponti con la città. A Roma va quasi ogni giorno, per curare i suoi affari (un paio di mesi fa ha realizzato anche uno spot natalizio per le Poste), accompagnare Roberta a un casting o andare insieme a lei in palestra. «Quando ho smesso di giocare pesavo 112 chili, adesso sono 110. Ovviamente ho perso massa muscolare, ma tra nuoto, corsa e vogatore riesco ancora a tenermi in forma». Nel tardo pomeriggio, i fidanzatini lasciano la metropoli alle spalle e tornano nella loro oasi. Ad apprendere le lezioni silenziose che gli asini («animali spesso bistrattati o, peggio, dileggiati») riescono a impartire: «All’uomo insegnano a essere paziente. Con loro si deve lavorare tutti i giorni (ma tutti tutti) e magari si porta a casa il minimo. Ma quel minimo, cioè le sensazioni che si provano, è l’essenza della vita. Un bell’insegnamento, direi, soprattutto pensando a quanto oggi siamo abituati ad avere e a sperperare. In più, gli asini, contrariamente a quanto si sente dire, non sono affatto stupidi. Come succede con tanti altri animali, bisogna solo aiutarli a capire ciò che stai chiedendo loro».
E quanto rugby c’è ancora nella vita di Andrea Lo Cicero? «Lo guardo in tivù. Più raramente vado di persona, come sarà per la partita con la Scozia. Qui sono venuti a trovarmi diversi ex compagni, Mirco Bergamasco un paio di volte ma poi anche Masi e Favaro». Nessuno del mondo ovale ha invece deciso finora di aiutarlo, ne per l’azienda agricola ne per la onlus La Terra dei Bambini: «Non è un problema, se qualcuno volesse farlo sa dove trovarmi». Con 103 caps sul petto, quanto le manca la Nazionale? «Quando decisi di smettere, non avevo dubbi. Non ho rimpianti, infatti. Comunque la seguo, ne leggo, sento alcuni amici come Mauro Bergamasco e Venditti. Finora contro il Galles e la Francia ho visto una bella Italia, tutto sommato. Se posso dare un consiglio, vorrei che lasciassero tranquillo Allen. È giovane, è in gamba. Non mi sembra un asino. Scherzo...».