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 2014  febbraio 24 Lunedì calendario

L’APPELLO DI PATUELLI


Antonio Patuelli regge le redini dell’Abi in un frangente molto difficile per l’industria bancaria italiana. Lo abbiamo raggiunto mentre Matteo Renzi era impegnato nelle consultazioni da cui sarebbe nato il governo; dopo pochi minuti il cellulare del presidente di Palazzo Attieri squilla, liberando le note dell’Inno di Mameli: «Anche questa è libertà», sorride il banchiere.
Presidente Patuelli, cosa chiede l’Abi al nuovo esecutivo?
«Di avere più coraggio nel dire le verità, a costo anche dell’impopolarità: bisogna anteporre il giusto, al comodo sbagliato. E questo in termini di metodo della politica. In termini di sostanza sto, invece, raccogliendo un dossier sulle anomalie legislative che penalizzano le banche operanti in Italia, rispetto alle concorrenti attive nel resto d’Europa. Il dossier è innanzitutto di natura fiscale e di complessità normative, che si sovrappongono continuamente sulle banche. Le banche in Europa vivono senza confini interni tra regioni e Stati, di conseguenza debbono essere messe “einaudianamente” in condizioni di parità dei punti di partenza; poi chi sarà più bravo, efficiente, lungimirante, modernizzante avrà giustamente più successo».
L’esecutivo Letta aveva comunque allentato le maglie del fisco sulle sofferenze?
«Per il trattamento fiscale delle i perdite sui crediti, l’Italia partiva da 18 anni, Francia e Germania da un anno. Ora l’Italia è arrivata a 5 anni, che è sempre un multiplo rispetto a condizioni dei Paesi limitrofi. Perfino in Inghilterra lo Stato ha concesso agevolazioni a fondo perduto alle banche, quando in Italia non un euro è stato dato. I Tremonti e i Monti bond sono dei prestiti onerosissimi per i pochi istituti che li hanno contratti e che pagano il 10% circa di interesse, rispetto a meno del 3% cui si attesta il costo della raccolta che io Stato fa con i titoli del debito pubblico. Si tratta di un affare per la Repubblica».
Si tratta tuttavia di aiuti elargiti con i soldi dei contribuenti...
«È un prestito molto ben remunerato. Che cosa si direbbe se una banca facesse pagare un prestito il 10% a una impresa? Se è lo Stato che applica queste condizioni come può essere un regalo? Occorre tornare alla precisione, all’analisi reale dei fattori produttivi».
Quali sono gli altri capisaldi del • vostro cahier de doléances?
«Semplificazioni normative e burocratiche, oltre a una verifica attenta di tutte le condizioni di natura anche operativa. Quando si parla di cuneo fiscale si pensa alle industrie con il comignolo, ma bisognerebbe pensare anche alle imprese creditizie. Ho la convinzione che in questi anni di crisi, dal 2008 in poi la Repubblica abbia gravato ulteriormente le banche, che in Italia soffrono assieme alle imprese e alle famiglie. Gli istituti di credito sono oggi totalmente differenti da quelli di 30-40 anni fa, che erano prevalentemente pubblici e venivano ricapitalizzati nei momenti di difficoltà con denari di Stato, che pudicamente ribattezzava, “fondi di dotazione”, un termine di cui oggi si è perso quasi anche il ricordo».
A che cosa si riferisce?
«Le banche e le assicurazioni sono appena state penalizzate anche dall’addizionale straordinaria Ires che aumenta l’imposizione di 8,5 punti percentuali per fare fronte alla cancellazione della seconda rata Imu. Che, quindi, è stata pagata forzatamente agli italiani da banche e assicurazioni. Tale addizionale pesa proprio sui bilanci che saranno presi in considerazione dagli esami europei che le banche subiranno quest’anno. Al contrario occorrerebbe favorire maggiori accantonamenti a patrimonio da parte degli istituti di credito, e non penalizzarne la redditività. La nazionale delle banche italiane che gioca il campionato europeo deve uscire vittoriosa ed è interesse di tutti che questo avvenga, e nello specifico della Repubblica, perché l’Italia avrà maggiore credibilità e lo spread potrà ridursi con vantaggi per i bilanci dello Stato e per il costo del denaro per imprese e famiglie. La Repubblica non deve complicare la situazione con una addizionale di questa natura. Va corretta con urgenza».
Qual è quindi il suo voto per l’ex esecutivo guidato da Letta?
«Seguo l’esempio di Luigi Einaudi, secondo cui il banchiere deve essere indipendente e anche apparirlo. Quindi non parlo mai dei politici viventi». Le banche hanno una zavorra da 155 miliardi in termini di sofferenze, cosa risponde a chi ritiene che siano frutto degli eccessi passati e di prestiti troppo concentrati sui grandi clienti?
«La crisi è sopportata da banche, imprese e famiglie. Sono coinvolti 1,2 milioni di clienti, è un fenomeno sociale. L’ingente numero di posizioni di credito deteriorato è lamigliore testimonianza che le banche subiscono la crisi non meno di chiunque altro. Malgrado questo le bad bank in altri Paesi d’Europa sono nate con fondi pubblici mentre in Italia non si è ipotizzato di stanziare nemmeno un euro».
L’Abi ritiene necessaria una bad bank di Stato?
«Segnalo solo che in altri Paesi sono stati fatti regali alle banche, mentre in Italia sono state aumentate le tasse».
C’è però stata la rivalutazione delle quote Bankitalia...
«Dopo l’entrata in vigore della Costituzione nel gennaio’48, tutti i valori pre-bellici sono stati aggiornati tranne uno. Quanto deciso è stato il completamento del Dopoguerra, dopo che le banche nel 1936 tirarono fuori 300 milioni di lire in un’epoca in cui, come recita la canzone, gli italiani sognavano di avere mille lire di stipendio al mese. Si tratta di un diritto contabile; il problema è piuttosto che l’Italia sia arrivata buona ultima».
Ora c’è fiato per ridare prestiti?
«Il clima sta cambiando, sta tornando l’offerta di credito. I tassi oggi applicati sono i più bassi nella storia della Repubblica, anche rispetto a quelli che hanno accompagnato il miracolo economico degli anni ‘50-60. Ora occorre, però, che le famiglie riacquistino fiducia a investire strumenti finanziari a medio-lungo termine, rispetto al conto corrente che invece è solo un’area di parcheggio per il denaro. È sulla base di una raccolta obbligazionaria a medio-lungo, oggi purtroppo in calo del 10%, che le banche possono fare prestiti di pari durata. È indispensabile riprendere coraggio per comperare l’appartamento ai figli o la seconda casa, senza che la Repubblica demonizzi la casa, con la minaccia di nuove tassazioni e patrimoniali. È interesse delle banche lavorare per la ripresa economica».
Bankitalia ha chiesto alle banche di mettere mano alla governance, anche per porre fine a cda a volte simili a salotti...
«È una riflessione approfondita di cultura giuridica, che è in corso».
Come saranno fatte le banche dopo la crisi?
«Non ci sarà un unico modello ma una pluralità di modelli in concorrenza tra loro».
L’idea è che le banche saranno sempre più leggere in termini di filiali e che queste diventeranno dei «supermercati», aprendosi a servizi non finanziari.»
«Stiamo assistendo a un’accelerazione. Gli istituti di domani non saranno tutti uguali e non ci sarà un’unica formula, per regolare l’equilibrio tra sportelli e telematica. Queste scelte non devono tuttavia incontrare ostacoli di rigidità: più piani industriali potranno svilupparsi responsabilmente, più l’industria bancaria sarà vincente sui mercati sia nazionale sia europei. Questa è la scommessa».
È il suo messaggio ai sindacati?
«Il messaggio riguarda tutti, a partire dalla nostra Repubblica e dall’Europa. Bisogna andare verso punti di partenza identici, affinché la gara sia corretta».