Fabrizio Roncone, Style marzo 2014, 26 febbraio 2014
MARIANNA MADIA
Marianna Madia rilasciò la sua prima intervista in un giorno di fine aprile del 2008, poche ore dopo essere stata candidata come capolista nel Lazio per il Pd. «Ricorda? Walter Veltroni, ogni tanto, si affacciava per controllare che tutto filasse liscio...». Un albergo di Perugia, un divano a fiori, fuori i fotografi che urlavano: era fragile e inesperta, delicata e indifesa. Troppo carina, troppo giovane, soprattutto troppo estranea a certi schemi classici di una certa sinistra. Ha attraversato questi anni lavorando molto e bene, parlando poco, pochissimo, e quando poi arrivò il tempo di una nuova candidature non andò a nascondersi in qualche listino bersaniano ma accettò la sfida delle primarie, vincendole. Matteo Renzi l’ha voluta nella sua nuova e rampante segreteria, le ha affidato il delicatissimo settore del Lavoro, per poi arrivare addirittura all’idea non scontata dì averla con sé nella squadra di Palazzo Chigi. Così, oggi, la biografia molto invidiata della 33enne ragazza romana di buona famiglia – il padre Stefano fu giornalista, e poi premiato a Cannes come miglior attore non protagonista nel film Caro Papà di Dino Risi – che studia al liceo Chateaubriand e si fidanza con rampolli da copertina appartiene ormai solo alle prime due righe di Wikipedia.
Marianna è diventata un personaggio solido sulla scena della politica italiana e insieme, cosa abbastanza rara, è riuscita a fare anche tanto altro: si è sposata con il produttore Mario Gianani, insieme hanno avuto Francesco (due anni) e adesso è qui che guarda fuori il finestrone – la sede del Pd è nel vecchio convento del Nazareno, a Roma – e sospira, accarezzandosi dolcemente la pancia: «Lei nascerà tra qualche settimana e...».
Da lei, cioè da questa seconda figlia, cominciamo. La maternità è sempre qualcosa di gigantesco ed è sempre e comunque un salto nel buio, nel mistero della vita. E se poi a questo aggiungiamo il fatto che tutto il pianeta attraversa una fase di passaggio, di cambiamento, e che perciò, davvero, l’unica certezza collettiva è quella di andare verso l’ignoto, il rischio è di essere dominati dalla paura. Invece, questa mia bella pancia dimostra che poi alla fine a prevalere è la natura e, quindi, la fiducia e la speranza.
Lei pensa che... Aspetti, mi faccia finire: voglio dire che, in fondo, una meta possibile probabilmente ancora c’è. Lo dimostra Papa Francesco: quella sua forza sempre contaminata dal sorriso, dall’allegria, quel suo essere sempre così francescano, è la dimostrazione che ancora esiste un sentiero percorribile.
Parliamo di politica, di Matteo Renzi: lei lavora a stretto contatto con quelli del suo cosiddetto «cerchio magico». Guardi, in tutta sincerità credo che questa storia del cerchio magico sia, soprattutto, una trovata mediatica. Era molto più chiuso il cerchio che stava intorno a Bersani, lo dico come dato, oggettivo, e ovviamente mandando un pensiero affettuoso a Pier Luigi. Il lato positivo di Matteo è che non si chiude. Certo, chiaro: a decidere è sempre lui, però è anche sempre lì pronto ad ascoltarti e ad accettare che tu possa aver avuto una buona intuizione.
Molti si chiedono: Renzi, alla fine, ce la farà a cambiare questo Paese? Posso dirle che è davvero un elemento di rottura. A lui stanno riuscendo alcune cose che Veltroni, cui Renzi deve moltissimo, non riuscì a realizzare fino in fondo. Walter spinse tutti verso una nuova idea di partito, di politica e di governo, ma poi non ebbe la forza di infrangere certe liturgie. Probabilmente perché lui stesso veniva da quella storia o perché, più semplicemente, i tempi non erano ancora maturi.
Articolo 18: lei cosa ne pensa? Il sospetto di molti è che possa essere stravolto. Possibile che siamo ancora fermi qui? Bloccarci su questo punto scatena gli istinti peggiori e sembra il modo migliore di far rimanere tutto com’è. Per questo penso che, anche nella lista del Job Act, l’ordine delle priorità sia fondamentale. Da 20 anni si fanno riforme del lavoro che partono dai contratti. Oggi la prendiamo da un’altra parte: leghiamo il piano per il lavoro alla politica economica e industriale, quindi iniziamo dalla creazione di posti di lavoro, e poi pensiamo a come regolarli. Comunque, anche nelle regole, i contratti vengono dopo: prima, maternità piena anche per le mamme precarie, sostegno al reddito se perdi il lavoro qualunque sia il contratto che hai... E poi, più in generale, a questo Paese serve prima di tutto garantire uguaglianza ai nastri di partenza. Cambiare il sistema significa in primo luogo parità di chance all’inizio invece che assistenza a posteriori.
Intanto la disoccupazione giovanile è al 41,6 per cento. Questo dato è la fotografia di una società decadente. E noi dobbiamo tirare fuori tutta la nostra serietà. All’Italia, da qui al 2015, arriverà un miliardo e mezzo di euro per la Garanzia Giovani: soldi di un programma europeo per far lavorare i giovani inoccupati. La prima cosa da fare è non sprecarli in rivoli e burocrazia, come è avvenuto in passato, e usarli solo per far fare esperienze lavorative alle ragazze e ai ragazzi.
Torniamo al Job Act, che lei ha prima citato: per molti osservatori si tratta solo di «titoli», di idee teoriche non realizzabili, anche per assenza di denaro. Eppure sono due mesi che il Paese discute di questi titoli! Forse perché il Pd sta rimettendo al centro della discussione un progetto d’attacco per il lavoro, invece che pensare ai soliti interventi di correzione degli errori fatti da altri. E poi, va bene, i soldi: è vero, non ce ne sono tanti. Intanto, però, possiamo tassare di più le rendite finanziarie e abbassare le tasse sul lavoro. Inoltre, i soldi che già ci sono possiamo decidere come spenderli: i fondi europei vanno indirizzati in pochi progetti importanti, anziché in progettini locali infiniti e dispersivi. Non solo: tre miliardi l’anno per la cassa integrazione in deroga possono essere gradualmente dirottati su ammortizzatori universali per chi oggi, soprattutto se giovani, non ha nulla...
Pensioni d’oro, rapporto tra generazioni. È tempo di un patto generazionale, ma non di uno scontro fra deboli. Quindi, sì, va bene intervenire sulle cosiddette pensioni d’oro, girando i benefici alle pensioni di generazioni che avranno molto meno. Faccio però due considerazioni. Primo: bisogna colpire i privilegiati veri e non la classe media. Secondo: vanno assolutamente inseriti anche i vitalizi, che riguardano i politici, e i cumuli tra reddito da lavoro e pensioni d’oro.
A questo punto dell’intervista, qualche anima pia dirà: però alla Madia non ha ancora chiesto se è vero che, come ha sostenuto qualcuno nel partito, cambia correnti politiche con una certa frequenza... (Ride, nda) Senta, no, l’ho già detto un sacco di volte: mai partecipato a una riunione di corrente in vita mia. Pensi che l’altro giorno mi si avvicina Massimo D’Alema e mi fa: «Vedo che sei accusata d’essere stata dalemiana... beh, se vuoi, smentisco».