Alessandro Robecchi, Style marzo 2014, 26 febbraio 2014
È L’ECONOMY BELLEZZA!
Lo scorso anno Google ha incassato in pubblicità più di quanto incassò tutta la stampa americana messa insieme nel 2005, che fu l’anno più fulgido di sempre per i giornali Usa. Nel bilancio 2013 di Big G si legge, alla voce «advertising revenue», la cifra di 37 miliardi di euro. Nonostante abbia dimostrato con i numeri di essere uno che se ne intende, l’intervento del presidente di Google, Eric Schmidt, al Forum Economico Mondiale di Davos non sembra aver creato il clamore che meritava. Secondo il boss di Mountain View la gara senza esclusione di colpi dei prossimi decenni sarà quella tra i lavoratori e le macchine che li sostituiranno. Facile, detto così. Ma a sostegno del discorso di Schmidt ci sono studi molto credibili e altrettanto allarmanti. Come quello di Cari Benedikt Frey e Michael A. Osborne, ricercatori a Oxford, che hanno censito ben 702 tipi di occupazioni oggi affidate all’uomo che potrebbero in breve tempo passare alle macchine. Negli Stati Uniti significherebbe perdere il 47 per cento dei posti di lavoro, cioè creare qualcosa come una settantina di milioni di disoccupati. Chi si è messo a fare i conti sull’Italia (gli economisti di Pagina99) parla di 13 milioni di potenziali disoccupati, il cui posto potrebbe esser preso dalle macchine. Certo, il calcolo non è facile (hanno usato dati Eurostat relativi all’occupazione per tipologia professionale), ma comunque si tratta di una cifra spaventosa (più del doppio dei disoccupati attuali). Insomma, se quello che dice Schmidt è vero, anche solo in parte, si preparano anni bui, anni in cui i concorrenti non saranno (solo) polacchi o cinesi, ma algoritmi e microchip. Unica nota consolatoria: i Paesi tecnologicamente più lenti vedranno il processo imporsi in modo più soft. E siccome noi siamo tra quelli, possiamo anche attuare un classico dello spirito nazionale: prendersela comoda anche nello spavento.