Sandro Cappelletto, La Stampa 26/2/2014, 26 febbraio 2014
«Sola, perduta, abbandonata», canta Manon Lescaut, la mia «deserta donna», come la chiamò Puccini
«Sola, perduta, abbandonata», canta Manon Lescaut, la mia «deserta donna», come la chiamò Puccini. Ma non ascolteremo la voce sontuosa di Anna Netrebko, per la prima volta diretta da Riccardo Muti, e non vedremo la regia della figlia del maestro, Chiara Muti, che su quel «deserta», sul senso di solitudine di una ragazza finita in una storia più grande di lei, ha costruito lo spettacolo. Tre sindacati del Teatro dell’Opera hanno proclamato lo sciopero per la prima di domani e tutte le recite successive. La protesta è contro «il grave progetto di destrutturazione e declassamento del teatro» che secondo Fials, Libersind e CGIL (inutile si è rivelato un tentativo di mediazione informale richiesto al segretario generale Susanna Camusso) - è ormai avviato. Il nuovo sovrintendente Carlo Fuortes, con il nuovo cda, ha aderito, a gennaio, al piano di finanziamento della cosiddetta «legge Bray», il precedente Ministro dei Beni Culturali. La legge prevede l’accesso ad n fondo speciale destinato alle fondazioni liriche indebitate, a fronte di un credibile piano di rientro dal passivo, che passa per una diminuzione delle spese e una riduzione del personale. I lavoratori «in esubero» verranno reimpiegati in altre aziende pubbliche: a Roma ne sono previsti 41, oltre a 24 pre-pensionamenti. Per dieci anni, durante le giunte dei sindaci Veltroni e Alemanno, il Teatro somigliava al mondo di Peppa Pig: ogni fine anno il sovrintendente bussava alle casse dell Comune, annunciava la cifra di cui aveva bisogno per il pareggio - tra i 12 e i 15 milioni di euro -, incassava e seriamente dichiarava: «Anche quest’anno il bilancio è in pareggio». Tutti fingevano di crederci ed erano contenti, mentre il debito raggiungeva cifre paragonabili a quelle del Comunale di Firenze, dove almeno la situazione era nota: attorno ai 30 milioni di euro. Oggi, all’Opera di Roma, si incontrano facce incredibilmente stupite: «Sembrava tutto in ordine e invece eravamo in mano alla Banda Bassotti», dicono riferendosi a certe spese disinvolte. A novembre, lo sciopero annunciato per la prima di Ernani - sempre diretto da Muti - era rientrato dopo l’intervento del presidente della Regione, Nicola Zingaretti e del sindaco, Ignazio Marino, che avevano annunciato l’«apertura di un confronto». Ma si è scioperato per la prima di un dittico dedicato a Ravel, e un balletto è andato in scena con la base musicale registrata, a causa di uno sciopero dell’orchestra, dove le tre sigle sindacali in agitazione sono ben rappresentate. E proprio i turni di lavoro dell’orchestra - orari, permessi, sostituzioni, impegno complessivo, oggi inferiore ai 150 giorni annui - sono al centro del piano di aumento della produttività proposto da Fuortes. Mentre il sovrintendente presenta un bilancio di previsione 2014 in pareggio e precisa che «il tavolo sindacale e il dialogo con le organizzazioni sindacali erano aperti» fino alla proclamazione dello sciopero, il sindaco non esclude «la liquidazione del Teatro e la successiva riapertura con un bando di concorso internazionale». La liquidazione, come misura estrema, è tecnicamente prevista dalla Legge Bray. Fonti sindacali si augurino che non si arrivi a tanto. Molta attesa per le decisioni di Muti, che a Roma ha (aveva?) ritrovato una casa d’opera italiana. Tre settimane fa, in un’intervista a La Stampa, il maestro dichiarava: «Confermo tutti i miei impegni romani, compresa la tournée in Giappone». Ora, di fronte a certi episodi molto pesanti - si parla di un’irruzione nel suo camerino di alcuni dipendenti del Teatro, decisi a chiedergli un esplicito sostegno all’agitazione - il direttore lascia trapelare il proprio disappunto, e forse qualcosa di più. Il destino del teatro è più che mai nelle sue mani.