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 2014  febbraio 26 Mercoledì calendario

Qualche giorno fa, l’amministratore delegato di una delle maggiori banche italiane sosteneva che in Italia stanno entrando capitali dall’estero come non succedeva da tempo: «Negli ultimi mesi il clima è cambiato, l’interesse su una serie di affari è tornato: in campo immobiliare, per dire, operazioni per le quali un anno fa si faticava a mettere assieme due compratori ora hanno una dozzina di offerte»

Qualche giorno fa, l’amministratore delegato di una delle maggiori banche italiane sosteneva che in Italia stanno entrando capitali dall’estero come non succedeva da tempo: «Negli ultimi mesi il clima è cambiato, l’interesse su una serie di affari è tornato: in campo immobiliare, per dire, operazioni per le quali un anno fa si faticava a mettere assieme due compratori ora hanno una dozzina di offerte». È che gli investitori che escono dai Paesi emergenti (meno dinamici che negli anni scorsi) cercano alternative e si rivolgono all’Europa, soprattutto alla cosiddetta periferia, ai Paesi che durante la crisi hanno sofferto di più e non hanno ancora recuperato. Per l’Italia si tratta di un’opportunità enorme … o di un rischio altrettanto grande. Secondo Cameron Brandt, direttore della ricerca alla società di analisi dei flussi di capitale Epfr, «la gente è uscita dai mercati azionari emergenti ma sta cercando profili di rischio-remunerazione simili, e li trova nell’Europa del Sud». Analisi identica quella di Nigel Hart del fondo d’investimenti BlackRock, secondo il quale i Paesi periferici dell’Europa sono quelli «dove le opportunità ci stanno guidando». È l’ormai famoso concetto espresso in una nota della Royal Bank of Scotland (Corriere del 27 gennaio scorso): «È ora una realtà il fatto che i Piigs possano volare», dove i Piigs sono Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna: «gli investitori stanno sempre più tornando in Europa e nella periferia», nella quale «c’è più valore che nel centro» (dicasi Germania Nord). Il quotidiano Wall Street Journal ha scritto (fonte Epfr) che da inizio gennaio sono stati investiti in azioni europee più di 24 miliardi di dollari (mentre dagli Stati Uniti ne sono usciti cinque). La tendenza, però, è in essere dallo scorso luglio: gli acquisti effettuati da investitori americani nelle Borse europee, per esempio, sono ai massimi dal 1996 e tra i mercati preferiti ci sono Spagna e Italia. Al momento, questi capitali vanno soprattutto nelle Borse, cercano immobili particolarmente interessanti e comprano titoli pubblici, dal momento che l’Eurozona sembra avere superato il rischio di frattura (il restringimento dello spread tra Btp e Bund tedeschi si spiega in parte non indifferente così). E i Paesi periferici attraggono perché i prezzi sono spesso ancora bassi e la ripresa economica, appena arrivata, si pensa abbia ancora una lunga corsa (probabilmente una passeggiata, visti i ritmi) da fare. L’opportunità è straordinaria per il governo guidato da Matteo Renzi: c’è un vento favorevole che non soffiava dalla fine degli Anni Novanta; ma al quale bisogna sapere dispiegare le vele. Cioè mettere in essere riforme grazie alle quali gli investimenti dall’estero e domestici, al momento finanziari, diventino diretti nell’economia reale, stabili e non di breve termine. Fare ritornare l’Italia attraente per chi vuole fare business. Si sta insomma concretizzando la tendenza segnalata oltre un mese fa (Corriere del 18 gennaio) dal banchiere di Julius Bär Marco Mazzucchelli, il quale ha azzardato che il Paese può dimostrare di non essere fuori dai giochi, come molti hanno sostenuto, ma che addirittura è in potenza la prossima «economia emergente». Il rischio molto serio è che però la situazione positiva agisca da anestetico, addormenti ogni spinta al cambiamento, dal momento che viene a mancare la pressione dei mercati. È quello che succede in Italia da metà 2012: da quando la turbolenza sull’euro è calata, di riforme non si parla più seriamente, tanto che, per dire, dal 2010 la Spagna ha guadagnato su di noi quasi venti punti di competitività (intesa come costo del lavoro per unità di prodotto). «Temiamo — dice la banca americana Goldman Sachs nelle sue previsioni per il 2014 — che i leader dell’Eurozona siano diventati compiaciuti di se stessi data l’assenza al momento di pressione di mercato». Se così dovesse essere, per l’Italia non si tratterebbe di una semplice occasione persa: quando i flussi globali di capitale cambieranno e gli investitori constateranno che nulla è stato fatto, il denaro uscirà di nuovo dall’Italia e la lascerà in una condizione ancora peggiore di quella di oggi. Si tratta di scegliere. @danilotaino