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 2014  febbraio 25 Martedì calendario

I SOLDI DI MONTE PASCHI NEI PARADISI DI VANUATU, ANGUILLA E SINGAPORE


Hanno trasferito all’estero oltre 90 milioni di euro sottratti alle casse del Monte dei Paschi di Siena. Ma soprattutto hanno speculato sui fondi di una banca in difficoltà con l’esclusivo obiettivo di arricchirsi. È l’accusa gravissima che ha fatto scattare nuovi provvedimenti cautelari contro la «banda del 5 per cento» guidata, secondo i pubblici ministeri Antonio Nastasi, Giuseppe Grosso e Aldo Natalini, dall’ex capo dell’Area Finanza Gianluca Baldassarri. In tutto undici persone — funzionari della banca e broker della società «Enigma» — che avrebbero messo in piedi un’associazione a delinquere capace di drenare soldi e occultarli su conti correnti aperti nei paradisi fiscali di Vanuatu, Anguilla e Singapore. Sono i documenti contabili a dimostrare il percorso dei soldi, ma la conferma del «sistema» illecito arriva da una donna, anche lei indagata, disponibile a raccontare agli inquirenti quel meccanismo utilizzato per anni dai manager infedeli.
Novanta milioni
da Vanuatu a Singapore
Le perquisizioni in Italia e all’estero cominciano all’alba. Gli investigatori del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza guidati dal generale Giuseppe Bottillo notificano a tutti gli indagati il divieto di espatrio. Entrano nelle loro case, negli uffici, portano via documenti, computer materiale informatico. Oltre a Baldassari, vanno dai funzionari di Mps Alessandro Toccafondi, Pompeo Pontone, Antonio Pantalena, Italia Sinopoli e Giorgio Filippetto, ma anche dai broker Maurizio Fabris, Fabrizio Cerasani, David Ionni e Agnese Marchesini. Tutti accusati di aver messo in piedi «un’associazione a delinquere che impiegava il patrimonio di Mps nelle operazioni di investimento finanziario eseguite attraverso “Enigma” artatamente realizzate onde far conseguire una sicura marginalità per il broker nelle transazioni e consentendo agli operatori coinvolti di conseguire illecite somme di denaro extraprofitto che venivano retrocesse attraverso società estere».
Il meccanismo utilizzato era semplice, anche se per ricostruirlo ci sono voluti mesi visto che passava per svariati paradisi fiscali e aveva come punto di snodo la filiale londinese della banca. A far partire le verifiche è stata la scoperta dello «scudo fiscale» utilizzato da alcuni manager per far rientrare una parte delle somme in Italia. Si è così accertato che «gli illeciti guadagni venivano ripartiti tra i membri del sodalizio per effetto di movimenti finanziari verso l’estero attraverso la società “Rockport Financial Inc” con sede ad Anguilla che inviava il denaro alla banca d’affari “Uib, United Investment Bank” di Vanuatu presso istituti di credito di San Marino». Sono 47 i milioni di euro già trovati, ma in totale risultano almeno 90 quelli sottratti a Mps e trasferiti su conti personali.
La testimone
e «il mondo dei sogni»
Il 4 giugno scorso viene interrogata Italia Sinopoli. Ha 40 anni, è una funzionaria di Mps ed è stata per un periodo legata a Fabrizio Cerasani. Le indagini hanno già svelato il meccanismo illecito utilizzato dal gruppo. Lei risulta titolare di alcuni conti a San Marino e di fronte alle contestazioni fornisce ulteriori dettagli che si riveleranno poi determinanti per ricostruire le tappe della truffa. Le viene chiesto della «retrocessione delle somme» che la società «Enigma» riconosceva ai manager della banca. Lei dichiara: «Cerasani mi disse semplicemente che “funzionava così”, cioè che era prassi in generale e all’interno della Banca. Mi disse che io “ero un niente” rispetto a questo meccanismo facendomi intendere che “le due lire” che mi riconosceva erano poco rispetto a quanto ad altri, all’interno della Banca, era riconosciuto. Mi riferiva, per rassicurarmi, che si trattava di riconoscimenti leciti. Spesso mi rimproverava che ero troppo ingenua e che vivevo nel mondo dei sogni».
La stessa indagata parla di una retrocessione del 20 per cento che le veniva riconosciuta e questo basta a far comprendere quale fosse la «provvigione» riconosciuta agli altri. Non a caso è lei stessa ad aggiungere: «A fine 2009 ho cercato di allentare i rapporti professionali e personali con Cerasani. Per convincermi della liceità delle operazioni mi ricordò che i suoi interlocutori erano addirittura i vertici dell’Area Finanza e che lui lavorava anche con Baldassari. Mi fece capire che quello che faceva con me, lo faceva — in misura maggiore — anche con Baldassarri e gli altri dell’Area Finanza».
La guerra tra pm e giudice
sul «no» agli arresti
Sorprende la decisione del giudice Ugo Bellini che nella sua ordinanza sposa in pieno le tesi dell’accusa, ma poi nega le misure di custodia cautelare in carcere sollecitate dai pubblici ministeri. In realtà già la scorsa estate i due uffici giudiziari avevano avuto motivi di attrito visto che il gip aveva deciso di rimettere in libertà per un vizio procedurale Baldassarri, salvo essere poi costretto a fare marcia indietro.
Nell’ordinanza Bellini riconosce «l’esistenza di un consolidato sodalizio criminale che ha operato in più Stati, per oltre quattro anni ed è a tutt’oggi vitale». Sottolinea, come del resto aveva fatto l’accusa, «il pericolo di fuga attuale e concreto soprattutto una volta che gli indagati avranno contezza dello stato delle cose», ma poi inspiegabilmente nega anche gli arresti domiciliari limitandosi a un provvedimento di divieto di espatrio contro cui la Procura ha già annunciato ricorso.