Massimo Gaggi, Corriere della Sera 25/2/2014, 25 febbraio 2014
I TAGLI DEL PENTAGONO E IL RITORNO AL 1940
L’ «austerity» necessaria anche negli Stati Uniti per far dimagrire il bilancio federale arriva al Pentagono. Gli effettivi delle Forze armate Usa scenderanno a 440 mila soldati, il livello più basso dal 1940, prima del riarmo imposto dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. Tagli annunciati ieri dal ministro della Difesa Chuck Hagel e inseriti nel bilancio federale 2015 (che entrerà in vigore il prossimo primo ottobre, giorno d’avvio del nuovo esercizio fiscale). Misure necessarie per riportare la spesa entro il tetto dei 496 miliardi di dollari previsto dall’accordo bipartisan del dicembre scorso tra Casa Bianca e Congresso, dice il governo.
Nonostante ciò, deputati e senatori sono già sul sentiero di guerra: molti di loro cercheranno in tutti i modi di silurare i tagli di Hagel. Perché una cosa è concordare in astratto un ridimensionamento della spesa, ben altro trasformarla in taglio dei reparti, chiusura di programmi e di basi militari, eliminazione di interi sistemi d’arma come l’U-2, glorioso aereo-spia in servizio dal lontano 1957 e ormai sostituito dai droni Global Hawk. O come l’A-10 Thunderbolt, il «cannone volante» entrato in servizio in piena Guerra fredda e progettato per distruggere i carri armati russi, qualora l’Urss avesse tentato di invadere l’Europa occidentale.
Scenari tramontati da tempo e armi, quindi, divenute obsolete. Ma non è la prima volta che il Parlamento di Washington difende armi e programmi anacronistici per non perdere soldi pubblici e posti di lavoro legati alle basi militari e ai grandi fornitori del Pentagono che operano nel perimetro del loro collegio elettorale. I repubblicani, poi, pur essendo i più determinati nel chiedere il taglio della spesa pubblica, si oppongono al ridimensionamento, anche marginale, del dispositivo bellico, accusando Obama di avere una politica estera e una strategia militare rinunciatarie.
Tra gli oppositori più duri la senatrice repubblicana Kelly Ayotte, il cui marito è un ex pilota di A-10. Ma Hagel, illustrando ieri il suo piano, ha spiegato la filosofia del governo Usa: eliminare armi e contingenti non più indispensabili in un mondo nel quale di guerre terrestri non ce ne sono quasi più, per concentrarsi sui conflitti ad alta tecnologia, sulla guerriglia e sul terrorismo. I soldati, che dopo i picchi di 6 milioni durante il secondo conflitto mondiale e di 1,6 milioni durante la Guerra del Vietnam, erano scesi sotto il mezzo milione nel 2000 per poi risalire a 570 mila dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre dell’anno dopo, ora caleranno fino a quota 440 mila.
Riducendo gli organici, ha detto il segretario alla Difesa, libereremo le risorse necessarie per assicurare ai soldati che rimangono le armi e le tecnologie più avanzate. Compreso il costosissimo caccia F-35 della Lockheed-Martin (nel quale c’è anche una partecipazione italiana): è in ritardo di 7 anni e costerà 163 miliardi di dollari più del previsto (conto finale: 400 miliardi), ma è anni-luce avanti rispetto ai caccia russi e cinesi più moderni.
Insomma, i tagli segnano sicuramente un ridimensionamento della presenza militare Usa nel mondo e Hagel lo ha detto senza giri di parole: esigenze di contenimento del debito pubblico, nuovi tipi di conflitti e nuove situazioni internazionali fanno sì che la supremazia delle forze Usa non sia più garantita in tutti gli scacchieri del mondo. Ma quella di Washington non è certo una ritirata: con tutti i tagli in programma, gli Stati Uniti continueranno a spendere per la difesa più degli altri 12 Paesi che la seguono in classifica (Cina, Russia, Gran Bretagna, Giappone eccetera) messi insieme.