Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 25/2/2014, 25 febbraio 2014
IL BANAL GRANDE
Frettolosamente archiviato come una nota di colore da Totoministri, il veto di Napolitano contro il pm antimafia Nicola Gratteri ministro della Giustizia è invece il peccato originale del nuovo governo. Un veto che ha poco a che fare con una casella da riempire con questo o quel nome, e molto con i limiti che chi comanda davvero in Italia ha voluto imporre fin da subito all’esuberante e incosciente premier. Nemmeno Renzi, frivolo e superficiale Banal Grande della politica 2.0, dev’essersi reso conto di quel che stava facendo, quando è salito al Quirinale con il nome di Gratteri nella lista (ieri, per illustrare in Senato i guai della Giustizia, ha parlato di incidenti stradali). Ma Napolitano, che la sa lunga sul sistema di potere che regge da sempre l’Italia a prescindere dai colori delle maggioranze, ha subito notato quel nome fra i 16 ministri renziani. E su quel nome ha ingaggiato il braccio di ferro: disposto a scaricare persino i suoi protetti Saccomanni, Bonino e Cancellieri, ma non a lasciar passare un pm antimafia alla Giustizia. Lo capisce chiunque non abbia proprio l’anello al naso: la scusa ufficiale della “regola non scritta” ma “insormontabile” che vieterebbe “un magistrato alla Giustizia” fa ridere i polli. Intanto perché le regole non scritte non esistono: bastano e avanzano quelle scritte. E poi perché il magistrato è un pubblico funzionario formato alla cultura della legalità e dell’imparzialità, sia che faccia il giudice, sia che faccia il pm: lavora al servizio dello Stato, cioè di tutti i cittadini, diversamente dall’avvocato, che svolge funzioni di parte (difende chi lo sceglie e lo paga). Ora, se è normale che gli avvocati diventino ministri della Giustizia senza neppure l’obbligo di interrompere l’attività forense (nella seconda Repubblica abbiamo avuto Biondi, Flick, Alfano e Severino), a maggior ragione dovrebbe esserlo per i magistrati (che hanno comunque l’obbligo di porsi in aspettativa). E infatti lo era stato con i Mancuso e i Nitto Palma. Quali problema creava, dunque, Gratteri? Almeno due. 1) Con il suo piano organico di riforme, minacciava di far funzionare la Giustizia per davvero. Ma una Giustizia che funziona il nostro sistema di potere non se la può permettere. Basta una ripresa dall’elicottero o dal satellite di tutti i politici nazionali o locali, banchieri, imprenditori, manager, faccendieri, lobbisti, massoni, boiardi, alti ufficiali e alti dirigenti delle forze dell’ordine e dei servizi sotto processo per cogliere la portata destabilizzante, eversiva di una Giustizia rapida ed efficiente. Con una classe dirigente così corrotta e collusa, basterebbe una riforma di stampo europeo della prescrizione (che dappertutto smette di correre dopo il rinvio a giudizio, mentre qui galoppa fino in Cassazione) per fare una rivoluzione pacifica molto più devastante di quelle cruente. 2) Gratteri, pur occupandosi dell’ala militare della ‘ndrangheta, ha maturato sul campo una conoscenza approfondita e dunque “tridimensionale” dei sistemi criminali italiani (chi avesse dubbi dia un’occhiata alle facce e alle fedine penali dei dirigenti calabresi di Pd, Pdl, Ncd e Udc). Infatti non fa mistero di considerare questa classe politica, trasversalmente, un focolaio di infezione. Perciò chiedeva “mani libere”. E, se avesse ottenuto il via libera, le avrebbe usate per andare fino in fondo. Mettendo a repentaglio non la sua carriera (non ci ha mai tenuto), ma la stabilità e la sopravvivenza del Sistema. Perciò l’Imbalsamatore ha subito sventato la minaccia: chiunque altro, ma non Gratteri. Infatti è toccato a un Chiunque Altro, il povero Andrea Orlando che dormiva sonni tranquilli all’Ambiente. Un onesto e innocuo orecchiante che ha assorbito a sua insaputa l’intero armamentario berlusconiano: confonde la riforma della Giustizia con quella dei giudici (azione penale facoltativa, separazione delle carriere, più politici nel Csm) e vuole abolire l’ergastolo come fossimo la Norvegia, non il paese delle mafie e delle trattative. A proposito: proprio ieri s’è rifatta viva la Falange Armata. Ora il governo del Banal Grande chiamerà la callista.