Roberto Petrini, La Repubblica 25/2/2014, 25 febbraio 2014
E SE LO STATO È COSTRETTO AD ALZARE I TASSI IL GETTITO FISCALE PUÒ ESSERE ANNULLATO
E’ UN vero e proprio rischio per il ceto medio? Oppure si tratta una tassa-immagine che fa molta paura e alla fine rende poco o niente allo Stato, come nel caso dell’aumento dell’imposizione sui Bot? Qualcuno paventa addirittura una enorme «partita di giro » a saldo zero. A queste ed altre domande, che agitano i sonni degli italiani, una volta definiti Bot-people, cercheremo di dare una risposta. Un dato tuttavia è certo: le tasse sul risparmio e i titoli
di Stato in Italia sono più basse d’Europa.
Quanto si paga oggi sul risparmio? E su quali prodotti si paga?
Dal settembre del 2011 si paga il 20 per cento sui redditi da capitale investito in azioni e obbligazioni che producono regolari dividendi. Pagano il 20 per cento anche fondi comuni e polizze vita (ma che non investono in titoli di Stato). Sottoposti al 20 per cento anche i redditi che derivano da un impiego di capitale ma sono incerti come i capital gain di Borsa. Al 20 anche gli interessi sui conti correnti bancari e postali.
E i titoli di Stato?
Sono anch’essi una forma di impiego del risparmio, ma lo Stato si è riservato di imporre una tassazione più bassa: è del 12,5 per cento e riguarda Bot, Btp, Cct ecc. e i buoni fruttiferi postali. La tassa si paga regolarmente al momento dell’investimento.
E all’estero come vanno le cose?
Come al solito in materia di tasse molto spesso all’estero sono più severi. In Francia si paga il 30% su dividendi e capital gain e il 18 sugli interessi, in Germania il 26,3% e anche in Spagna il 21%. In tutti i paesi non esiste una aliquota «ridotta» come in Italia per i titoli di Stato che devono rispondere
alla stessa tassazione di obbligazioni e azioni. In Francia, ad esempio, dal 2012 la maggiorazione di tassazione sulle rendite finanziarie (Oats, compresi) è utilizzata per coprire i costi delle assicurazioni sanitarie obbligatorie e i contributi pensionistici, in una sinergia tra finanza e Welfare.
Cosa si propone in Italia?
Benché nelle ultime ore ci siano state frenate, Renzi e i suoi pensano ad un aumento della tassazione di tutto il risparmio e, al netto della retromarcia di Delrio, anche dei Bot. Si parla di portare i titoli di Stato dal 12,5 al 20 per cento e il resto del risparmio dal 20 al 22%.
Si potrebbe fare cassa?
L’aumento delle tasse sul risparmio (compresi conti correnti bancari e postali) al 22 per cento darebbe un gettito di circa 2 miliardi. Mentre l’aumento al 20 per cento sui 183 miliardi di Bot, Btp e Cct in mano alle famiglie darebbe circa 400 milioni. Tendenza confermata ieri anche dalla dirigente generale del debito pubblico, Maria Cannata,
che ha parlato di «effetti modesti per il gettito».
Quali effetti ci saranno per i risparmiatori?
L’aumento delle tasse sui Bot colpirebbe solo le famiglie e i risparmiatori che pagherebbero per intero l’aumento della tassa al momento della sottoscrizione (sono cioè i cosiddetti «nettisti»). Questi soggetti sono circa il 10% dell’intera platea che detiene i titoli pubblici.
Il singolo risparmiatore già paga altre
tasse sui titoli?
Sì, c’è la mini-patrimoniale sui conti-titoli, introdotta dal governo Monti per l’1,5 per mille nel 2013 e che il governo Letta ha elevato dal 1° gennaio di quest’anno al 2 per mille. Il gettito nel 2014 sarà di 5 miliardi, anche se i risparmiatori lo scopriranno solo a fine anno. La tassa è una imposta di bollo proporzionale che grava sui conti-titoli, di ogni genere, e che viene gravata sull’estratto conto.
Quali effetti per le banche?
Le banche e gli investitori istituzionali (italiani e esteri) possiedono il 90 per cento del debito pubblico. Non pagano una imposta sostitutiva alla fonte, come i risparmiatori, ma mettono plusvalenze e rendimenti in bilancio e su questi già pagano le tasse. Inoltre le grandi società riescono a mettere in atto accorgimenti di elusione che consentono di il peso fiscale. Dunque per questi cosiddetti «lordisti» l’aumento della tassazione sui titoli di Stato sarebbe irrilevante come peso e come gettito.
L’aumento delle tasse sui Bot è una “partita di giro”?
Si rischia che lo Stato, per collocare Bot e Btp con un peso fiscale più elevato, sia costretto ad aumentare di pari entità i tassi. Quello che entra da una parte uscirebbe dall’altra, almeno in una prima fase. Del resto il fenomeno è già avvenuto nel 1986 quando fu introdotta per la prima volta la tassazione sui Bot, che prima erano esenti. Sempre la Cannata ieri ha fatto capire che la domanda dei titoli potrebbe avere ripercussioni per «il piccolo risparmiatore è sensibile a questi aumenti». Ovvero una caduta delle sottoscrizioni.
E se si aumentassero solo le tasse sugli investimenti finanziari senza toccare i Bot?
In questo caso, si argomenta, si allargherebbe ulteriormente la forbice tra emissioni private e pubbliche. Per banche ed aziende private sarebbe più difficile collocare titoli sul mercato in un momento di credit crunch e in controtendenza rispetto alle iniziative assunte di recente per le piccole e medie imprese come le cambiali finanziarie e i minibond.
Il solo aumento delle tasse su azioni, obbligazioni, conti correnti bancari e postali ecc., che effetti avrebbe sui risparmiatori?
Buona parte del gettito, ovvero circa il 70 per cento, viene dalle tasse sugli interessi sui conti correnti bancari, postali e dalle obbligazioni. Chi è contrario all’aumento delle imposte sostiene che un eventuale intervento colpirebbe il risparmio meno sofisticato e più debole.