Morya Longo, Il Sole 24 Ore 25/2/2014, 25 febbraio 2014
ECCO GLI EFFETTI DEL FISCO SUI PORTAFOGLI
«Il sottosegretario Delrio ha detto una cosa molto semplice: che il tema della tassazione sulle rendite finanziarie e il tema dei denari sul costo del lavoro saranno oggetto di una valutazione. Voi avete subito titolato nel modo più forte e pesante possibile, vi prego di stare ai fatti e alle cose che si dicono». Le parole del neo-premier Matteo Renzi ai giornalisti confermano che il nuovo Governo intende mettere mano alla tassazione sulle rendite finanziarie. Che intende «uniformarle» (come spiega il responsabile economico del Pd Filippo Taddei) per finanziare una parte della riduzione del cuneo fiscale.
Questo ha scatenato le ovvie e tradizionali polemiche: «Il sottosegretario Delrio sa benissimo che se si aumenta la tassazione sui titoli di Stato crolla la domanda», tuona Renato Brunetta. «Ma quali BoT! Tassare le rendite finanziarie, vendere beni del demanio, tagliare la spesa pubblica improduttiva»: questo servirebbe, secondo il leader Cgil Raffaele Bonanni. Il dibattito, dunque, è infuocato. Per questo Il Sole 24 Ore dedica 4 pagine al delicato argomento.
La logica del ribilanciamento
Il dibattito nasce da un dato di fatto: in Italia chi produce (cioè le imprese) e chi lavora è oppresso da una tassazione ben maggiore rispetto a chi investe sui mercati finanziari. Calcola la Banca Mondiale che sulle aziende italiane grava una pressione fiscale complessiva del 65,8%, contro il 41,3% medio dei Paesi Ocse. Per contro, invece, su chi investe in titoli di Stato grava un prelievo del 12,5%, contro il 25% medio degli altri principali Paesi europei. E sulle rendite finanziarie il prelievo in Italia è del 20%.
Insomma: aprire un’impresa è fiscalmente stupido in Italia. È molto meglio investire in improduttivi BoT e BTp. Da qui nasce la logica di un ribilanciamento annunciata da Delrio e confermata da Renzi. Una domanda, però, nasce spontanea: aumentando la tassazione sulle rendite finanziarie si risolverebbe il problema? La risposta, allo stato attuale, è no. E poi: si rischierebbero effetti collaterali? Qui la risposta potrebbe essere positiva.
L’incognita del gettito
Se si rincarasse la tassazione sulle rendite, è verosimile pensare che lo Stato incasserebbe poco. Perché le tasse sui titoli di Stato e sulle rendite finanziarie le pagano solo i piccoli risparmiatori. Solo le famiglie. Le persone giuridiche (cioè le banche, le assicurazioni e i fondi italiani) sono invece soggetti «lordisti»: cioè incassano le cedole dei titoli di Stato e i rendimenti di tutte le altre forme d’investimento al lordo delle tasse. Per loro il prelievo è sul bilancio, sul quale si applica l’aliquota del bilancio e non quella dei titoli di Stato. Morale: per banche e fondi l’aumento della tassazione sulle rendite sarebbe ininfluente. Come lo sarebbe per gli investitori esteri: pagano infatti le tasse nel loro Paese. Non in Italia.
Morale: la grande rivoluzione fiscale – se consistesse solo nell’aumento delle aliquote – graverebbe esclusivamente sulle famiglie italiane. E quindi regalerebbe un gettito limitato allo Stato, perché i risparmiatori – si veda artico lo a fianco – detengono solo il 10% dei titoli di Stato italiani. Poca cosa per rimpinguare le casse pubbliche. Il discorso cambierebbe, ma non più di tanto, se invece il rincaro fiscale riguardasse solo gli altri strumenti finanziari: le famiglie italiane – secondo l’ultima indagine di Bankitalia – investono infatti il 23% del loro patrimonio in fondi comuni, azioni e obbligazioni, contro l’11% in titoli di Stato. Se l’aumento dell’aliquota (come sembra intenzione del Governo) riguardasse solo le altre rendite finanziarie, lasciando indenni i titoli di Stato, il gettito non sarebbe comunque eclatante. L’aumento sarebbe forse maggiore se nel mirino finissero anche i conti correnti e di deposito, che costituiscono il 54% dei risparmi degli italiani.
Rischio di effetti collaterali
Bisogna poi capire quale impatto potrebbe esserci sui mercati. Sui titoli di Stato è verosimile immaginare che l’impatto possa essere limitato: perché l’aumento della tassazione, come detto, riguarda solo una piccola parte dei detentori di BoT e BTp. Non abbastanza per influire strutturalmente sui rendimenti. Il problema maggiore potrebbe riguardare invece le banche che, tradizionalmente, si foraggiano collocando le proprie obbligazioni alla clientela.
Secondo i dati della Consob, nel 2012 sui 149 miliardi di euro di obbligazioni emesse dalle banche italiane, ben 122 miliardi sono stati comprati dai risparmiatori allo sportello. Insomma: la clientela rappresenta per gli istituti di credito, almeno negli ultimi anni, la principale fonte di raccolta per quanto riguarda il mercato obbligazionario. Se per effetto del rincaro fiscale i risparmiatori si tirassero indietro, dunque, gli istituti di credito potrebbero soffrire.