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 2014  febbraio 24 Lunedì calendario

MA È DAVVERO BONO? DENARO E POTERE, LE OMBRE DI MISTER U2


Il suo primo sostenitore si chiama Matteo Renzi, appena eletto sindaco di Firenze non continuava che ripetere: “Mi piace citare Bono Vox quando sostiene che i politici sono i depositari dei sogni delle persone. La politica è un privilegio nel senso che è una straordinaria opportunità e una grandissima responsabilità”. Non era potente quanto oggi, Renzi. Ma aveva già visto lungo: Bono è una delle rockstar più amate dai potenti di tutto il mondo.
Una figura controversa, a dirla tutta, come racconta in un pamphlet Harry Browne, libero docente alla School of Media del Dublin Institute of Technology. I suoi articoli sono apparsi in CounterPunch, sulla Dublin Review e in altri giornali irlandesi. Nato in Italia e cresciuto negli Stati Uniti, vive in Irlanda dalla metà degli anni Ottanta e in 279 pagine massacra Bono e gli U2, parla di un uomo avido di denaro, che ha portato i soldi nelle Antille francesi per ripararsi dal fisco, sta dalla parte dei potenti, quando ha scritto una delle più celebri canzoni non sapeva neppure di cosa stava parlano. Questo come antipasto, il resto è fatto di una serie di colpi da mettere al tappeto chiunque. Compreso Bono, che quando ha letto il libro non l’ha presa per niente bene.
A come Africa
Il cantante degli U2 è considerato il più popolare ambasciatore della causa africana nel mondo. Le cause, forse. Sicuramente è il più popolare. L’origine, secondo l’autore, è la partecipazione a una canzonetta di dubbio gusto, Do they Know it’s Christmas, un pezzo “paternalistico e molto, molto bianco”. Altro fattore - sempre secondo Browne – è da ricercarsi in Pride (In the name of Love), pezzo storico degli U2 che ha come punto di arrivo l’uccisione di Martin Luther King. Gli U2 sbagliano, collocano l’omicidio al mattino, King venne assassinato il pomeriggio e anni dopo lo stesso Bono sminuì il pezzo. E lo definì inadeguato al soggetto. Ma il rapporto con il continente africano nasce da quel Band Aid ideato da Bob Geldof e dal successivo Live Aid. Geldof è l’uomo che apre le porte dell’Africa a Bono. Ed è proprio al Live Aid che gli U2 diventano popolari in tutto il mondo, concerto che si svolge in simultanea tra Londra e Filadelfia nel luglio del 1985, e al quale partecipano flotte di star, da Bob Dylan a Michael Jackson. Bono si apre alla causa africana comunque qualche anno dopo. In particolare lo fa con un articolo sul Guardian dal titolo: “Il debito mondiale mi fa arrabbiare”. Nell’articolo sosteneva la cancellazione del debito, ma copriva di elogi i leader politici, da Clinton a Brown, Schroederer e Blair.
Browne su questo punto è assolutamente spietato nella sua ricostruzione, minuziosa e precisa. “Per quasi tre decenni nella sua veste di figura pubblica, Bono si è fatto megafono di idee elitarie, sostenendo soluzioni inefficaci, trattando i più poveri con superiorità e leccando il culo ai ricchi e ai potenti”. Il suo approccio verso l’Africa è “un mix di vecchio stile missionario e colonialismo commerciale, in cui la parte povera del mondo non è altro che un obiettivo che il mondo ricco deve conquistare”.
Bono, afferma Browne, è diventato “il volto premuroso della tecnocrazia globale”, che, senza alcun tipo di mandato, ha assunto il ruolo di portavoce per l’Africa, per poi usare quel ruolo per fornire “copertura umanitaria” ai leader occidentali . Il suo posizionare l’Occidente nel ruolo di salvatore dell’Africa ignorando al tempo stesso i danni che le nazioni del G8 stanno facendo non ha fatto che indebolire le campagne per la giustizia e la responsabilità e legittimare il progetto neoliberista”.
Portafogli e corporation
Un capitolo particolare, nel quadro che Browne fa di Bono, meritano i suoi rapporti con i potenti di turno. “Ovunque due o tre persone siano riuniti nel nome della ricchezza”, scrive Browne, “là c’è anche Bono a garantire per la loro bontà. Non si limita a riempire di belle parole posti come i meeting di Davos, ma lancia progetti e piani d’azione, promuove cause”. Nel libro si ripercorrono i buoni rapporti sia con la Apple e Microsoft. Il punto è che se è vero che Bono mette la sua faccia a favore delle buone causa, non c’è dimostrazione che invece in quelle stesse battaglie metta i quattrini. Bono è un’industria, gli U2 hanno sempre guadagnato una montagna di quattrini, ma non c’è traccia di regali. Anche se non sempre Bono negli investimenti è accorto. Investì milioni in Facebook, quando venne quotata in borsa, per perderne una buona parte. Non è stato grandioso l’investimentlo quando acquistò Forbes, la rivista americana, con un investimento da 250 milioni di dollari. Tre anni dopo la rivista ha iniziato un programma di licenziamenti e la chiusura delle redazioni di Los Angeles e Londra. Nello stesso periodo Bono investì anche in videogiochi: quella volta dal suo portafogli uscirono 300 milioni di dollari.
Amico dei presidenti
Da uomo di potere non può che avere amici potenti. Era stato buon amico di Bush senior, è diventato amico di Bill Clinton prima ancora che Clinton diventasse presidente (ma la sua candidatura odorava già di vittoria) è stato amico di W. Bush. In questi rapporto Browne racconta aneddoti molto divertenti e incontri dopo i concerti con molto scrupolo e citazione delle fonti. Nulla è romanzato: ci sono le date e gli orari, le città e le situazioni. Con tutto quello che comporta. Quando Bush decide l’invasione dell’Iraq tutto il monbdo aspetta da Bono un monito contro la guerra che non arriverà mai. Fu moderatamente interventista negli Stati Uniti, contro la guerra quando andò a ritirare la Legion d’Onore da Chirac, in Francia, assolutamente dalla parte di Blair quando entrava in Inghilterra. Nessun segnale di pace. Tanto che Jim Kerr, il cantante dei Simple Minds, lo attaccò pubblicamente: “Come può Bono dopo aver fatto concerti avvolto dalla bandiera della pace scambiarsi pacche sulle spalle con Blair ed elogiarlo? Non posso credere che la gente non riesca a capire che per quanto si impegnino per l’Africa le mani dei leader mondiali grondano del sangue dei bambini iracheni”.In questo atteggiamento c’è tutto Bono secondo la penna di Browne: un frontman, appunto. Un volto. Pieno di buone intenzioni da predicare e nessuna buona azione da mettere in atto. Non esiste un Bono filantropo.