Marco Panara, la Repubblica - Affari & Finanza 24/2/2014, 24 febbraio 2014
MPS, TELECOM, RCS, NOMINE: RENZI AL TEST DEI POTERI FORTI
Sulla scrivania di Matteo Renzi a Palazzo Chigi sono già pronte due file ordinate di cartelline. Quelle a sinistra sono numerose ma la pila è bassa, perché sul frontespizio di ciascuna c’è un titolo: legge elettorale e riforme costituzionali, lavoro, pubblica amministrazione, fisco, giustizia, Europa, ma solo la prima contiene dentro qualcosa e la seconda solo un foglio, un indice. Le altre sono ancora vuote. Sulla destra le cartelline sono meno numerose, per il momento, ma la pila è più alta perché dentro sono piene di appunti, documenti e dossier. I titoli sono Alitalia, Telecom, Monte dei Paschi. C’è n’è una, il cui titolo non si vede, forse è scritto con inchiostro simpatico, ma scartabellando dentro le dichiarazioni di Diego Della Valle, John Elkann e Carlo Pesenti lasciano supporre che potrebbe trattarsi di Rcs e si capisce che il titolo della cartellina non è stato scritto in evidenza perché ancora non è chiaro se quella è una questione aperta oppure no. Una cartellina, solo una ma bella robusta, è al centro del tavolo. Sopra c’è scritto: nomine. Da come saranno riempite le cartelline di sinistra e da come saranno gestite quelle a destra e quella al centro della scrivania dipenderanno molte cose, non tutte della stessa importanza per i cittadini ma tutte rilevanti. P erché in un modo o nell’altro andranno a toccare i sistemi di potere che hanno gestito il paese e alla fine lo hanno
immobilizzato. Se Renzi vuole, come dice, “cambiare verso”, è quella la partita. Quando nel ’98 cadde il primo governo Prodi la lettura politologica ci raccontò di una congiura di palazzo. Nei mesi successivi la guerra in Jugoslavia, la scalata alla Telecom da parte dei “capitani coraggiosi” e il passaggio del Banco di Sicilia al Banco di Roma di Cesare Geronzi ci fecero capire che c’era dell’altro. Una tesi più sofisticata sostiene che l’incrocio tra quel governo Prodi, se avesse continuato la sua azione, e l’ingresso nel-l’euro, avrebbero determinato un cambiamento irreversibile dei sistemi di potere che era già cominciato con la stagione delle privatizzazioni. La classe politica - sostiene quella tesi lo bloccò, e la cittadinanza confermò la volontà di conservazione votando Forza Italia e la Lega nelle elezioni del 2001. Si è parlato e scritto molto nei giorni scorsi della similitudine tra i meccanismi di palazzo nella staffetta Prodi-D’Alema e in quella Letta-Renzi, che in qualche modo c’è. Ma quella volta, secondo la tesi di cui sopra, l’obiettivo profondo era bloccare il consolidarsi di un cambiamento mentre questa volta almeno all’apparenza c’è la pressione per un cambiamento. La novità è il contesto: una società piegata da cinque anni di recessione, il 9 per cento di prodotto lordo perduto, la disoccupazione che viaggia verso il 13 per cento e quella giovanile che supera il 40, imprese che chiudono, negozi che abbassano definitivamente le saracinesche, studi professionali che fingono di rimanere attivi per salvare un residuo di dignità. Ma è cambiato anche il contesto di quelli che si usava chiamare i “poteri forti”. Le banche sono nell’angolo, i salotti sono stati smembrati, gli azionisti di Rcs si insultano a vicenda e a Trieste arrivano avvisi di garanzia e azioni di responsabi-lità, la Fiat sposta la sede legale in Olanda, quella fiscale a Londra e la quotazione a Wall Street. Ma non è stata la forza della politica a smembrare i salotti, sono state la crisi e la competizione globale che li hanno resi reperti antiquari. Tuttavia, benché in qualche caso assai ammaccati, quei poteri contano ancora. Dipende dalle banche creditrici l’esito della vicenda Alitalia-Etihad, da Intesa, Mediobanca e Generali quello della vicenda Telecom-Telefonica, dalle banche ancora la morte, la salvezza o la crescita di un numero gigantesco di imprese, dalla famiglia Agnelli (che non è ammaccata per niente) e da Mediobanca la vicenda Rcs, da chi non lo sappiamo ancora quella Montepaschi. Dove i poteri forti hanno retto alla grande, anzi sono diventati fortissimi - almeno fino ad ora è Roma. Paolo Scaroni, Fulvio Conti e Flavio Cattaneo guidano rispettivamente l’Eni, l’Enel e Terna da nove anni. Massimo Sarmi è al vertice delle Poste da dodici anni. Tutti loro e anche l’amministratore delegato di Finmeccanica Alessandro Pansa (in carica da poco più di un anno) sono in scadenza. Ma nella capitale non ci sono solo le aziende pubbliche. Nella Roma invisibile del potere vero comandano nascosti i reali padroni dello Stato, quelli che se i politici qualche volta decidono di fare qualcosa hanno poi il potere di frenare, modificare, annacquare, annullare le riforme dalle loro poltrone di capi di gabinetto, ragionieri generali, dirigenti apicali dei ministeri, magistrati amministrativi e contabili. Sono sistemi di potere solidi, cementati da relazioni ma anche dal monopolio della cultura amministrativo-contabile che ha preso in ostaggio l’Italia cancellando ogni altra. La forza di questi mandarini occidentali è che non si può fare a meno di loro, solo loro sanno dove sono nascosti i bandoli della matassa di norme e regolamenti che soffoca l’iniziativa, l’impresa, la stessa pubblica amministrazione diventata schiava di se stessa, l’intera società. Ancora più invisibile è infine quel sistema di reti che attraversa poteri privati, grandi aziende pubbliche e alti gradi dell’amministrazione e dei servizi, le tante generazioni di “P” che dalla P2 in poi hanno segnato, a volte scoperte e molte altre no, le vicende della prima e della seconda repubblica e che non c’è da sperare che abbandonino le armi con il sorgere della terza (se mai sorgerà). La partita è complicata, quindi è meglio andare con ordine. Cominciando dalla fine, la parte più dura da affrontare, i mandarini. Qualche frattura in realtà già c’è stata con l’arrivo del governo Letta. Mario Monti aveva scelto di tenere al proprio posto gli uomini che Berlusconi e Gianni Letta avevano lasciato a Palazzo Chigi e Giulio Tremonti a via XX Settembre. Enrico Letta ha scelto di cominciare a cambiare, e nei posti chiave dei due palazzi più importanti ci sono uomini nuovi. Gli effetti lentamente hanno cominciato a filtrare all’esterno, l’uscita dalla maggioranza del Pdl e il minore peso di Gianni Letta non stati ininfluenti nella uscita dall’Inps di Antonio Mastrapasqua, che di Gianni Letta è una creatura e che aveva accentrato un potere enorme non solo nell’ente previdenziale più grande d’Europa, ma bulimicamente anche in una serie troppo lunga di altri enti e organizzazioni. Lo stesso arresto di Luigi Bisignani, parte integrante di quei sistemi di potere, che incrociava i bojardi del ventunesimo secolo con figure di vertice delle amministrazioni, è un segnale di indebolimento di alcune cordate. Ma le cordate sono tante, incrociate, inestricabili e il grosso è ancora lì, e riportarlo entro più corretti confini sarà la parte più difficile, se la si vorrà fare, perché comunque di loro, monopolisti del sistema di regole, il nuovo governo si dovrà servire. Occorrerà, se si vorrà procedere, una fortissima cura “omeopatica”, la difficilissima operazione di utilizzare un sistema di potere per ridimensionare se stesso. Secondo capitolo, le nomine, il cui controllo - si è detto da alcuni - è una delle ragioni che avrebbero spinto Renzi a sostituirsi così rapidamente a Enrico Letta. Il ministero dell’Economia e delle Finanze, che è l’azionista di controllo delle aziende a partecipazione pubblica, ha creato una procedura, che prevede la definizione dei profili e il ricorso a cacciatori di teste. Ma la procedura serve a stilare delle liste, e sarebbe strano che in quelle liste non ci fossero i nomi di chi il presidente del Consiglio vorrebbe nominare. Si dice, probabilmente a ragione, che Enrico Letta avrebbe confermato tutti. Si dice, non si sa se a ragione o meno, che Renzi sarebbe intenzionato a cambiare tutti. Non sono scelte di poco conto, Eni ed Enel sono le maggiori aziende del paese, Poste è uno dei maggiori datori di lavoro, Finmeccanica copre il settore strategico della difesa ed è l’azienda italiana che investe di più in ricerca. Chi le guida è potente e chi le guida da molto tempo potentissimo. Telecom, Alitalia, Monte dei Paschi, Rcs sono fuori dal perimetro pubblico, ma la politica non è indifferente anche se a volte finge di esserlo. Sono tra quei casi in cui i denari non sono tutti uguali. Non è la stessa cosa se a comprare Alitalia sono i denari di Air France o quelli di Etihad. Enrico Letta aveva lavorato molto per la soluzione Etihad, che sembra la migliore di quelle possibili (o forse l’unica), è probabile che Renzi non cambierà linea. Per Telecom la situazione è diversa. Letta aveva ricevuto il numero uno di Telefonica Cesar Alierta e non aveva opposto resistenza al fatto che il primo gruppo telefonico nazionale passasse al controllo spagnolo. Anzi, aveva forse rimosso qualche possibile ostacolo a che questo avvenisse. Ora l’esito di quella vicenda si è fatto più incerto. Renzi già in novembre si era schierato per lo scorporo della rete, in gennaio è tornato sulla vicenda affermando che il governo deve usare tutti gli strumenti a disposizione per garantire gli investimenti sulla rete ed ha aperto ad una riforma della legge sull’opa. Ora è a Palazzo Chigi e dal dire si passa al fare. Alierta lo sa e corre voce che stia preparando una offerta pubblica di scambio per fondere Telecom in Telefonica: il gioco comincia a farsi duro. Anche per Mps la partita sta entrando nel vivo, la fondazione di Siena deve vendere al più presto la sua quota di controllo e la banca deve fare l’aumento di capitale da 4 miliardi già rimandato alla fine dello scorso dicembre. Ma è indifferente chi comprerà quella quota? Renzi in passato ha attaccato più volte il Pd per le sue ingerenze nella gestione dell’istituto, ma da primo ministro lui e il suo ministro dell’Economia che ruolo vorranno svolgere nel delineare il futuro della banca toscana? Rcs in apparenza è ancora più lontana da Palazzo Chigi. Non gestisce una infrastruttura come Telecom, né servizi rilevanti come Alitalia, non è una banca importante con il Monte. Ma Rcs vuol dire Corriere della Sera, il suo azionariato è stato sempre un luogo di relazioni di potere. Quanto è indifferente che sia controllata dalla Fiat o da altri? E la consuetudine di Della Valle (azionista di Rcs che si oppone all’attuale gestione) con Renzi è solo una questione di tifo per i viola?