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 2014  febbraio 24 Lunedì calendario

IL PRIMO GIORNO DI YIULIA LIBERA TORNA NEL SUO UFFICIO E ABBRACCIA LA MADRE “SARÒ IO A SALVARE QUESTO PAESE”


KIEV — La Tigre è stanca ma sa ancora come si combatte. Non ce la fa nemmeno a scendere da sola dal fuoristrada che l’ha riportata nella sua tana. E sono momenti di imbarazzo per il piccolo gruppo di amici, segretarie, fattorini che l’aspettava sin dal primo mattino nel cortile del palazzo del Partito Batkivscina tra mazzi di fiori e pacchettini regalo. Yiulia Tymoshenko finge di non vedere il disagio dei suoi fedelissimi. Si lascia portare a braccio sulla sedia a rotelle e poi li passa militarmente in rassegna dicendo ad ognuno qualcosa all’orecchio. Parole di ringraziamento ma anche di stimolo perché comincia così la prima lunghissima prima giornata di libertà della donna che vuole guidare l’Ucraina in Europa. Liquidati i sentimentalismi si comincia a lavorare sodo. Yiulia rassicurerà al telefono Angela Merkel, incontrerà l’ambasciatore americano, guiderà a distanza le mosse dei suoi deputati che si preparano a formare il nuovo governo. E si esclude da sola da una possibile carica da premier: vuole la presidenza che le era sfuggita per un pugno di voti sospetti cinque anni fa, prima che cominciasse «il lungo inverno della democrazia».
Camicia bianca, tailleur nero, e sorprendentemente niente treccia. Solo un cerchietto di perline a evocare vagamente la pettinatura che ne ha fatto un’icona. «Non c’è stato il tempo», taglia corto davanti a chi glielo fa notare e riprendendo a dare disposizioni, fare telefonate, prendere appunti. Sabato sera, appena uscita con i capelli in disordine dal carcere, aveva indossato una treccia posticcia giusto per andare in piazza senza rinunciare al suo look da battaglia. Ma adesso non sono previste apparizioni in pubblico e non si possono perdere minuti preziosi. Così come per la prima volta in assoluto i suoi l’hanno vista con il volto «acqua e sapone», lei che non rinunciava a rifarsi il trucco anche due o tre volte al giorno. «E’ più bella così», dice innamorato un vecchio guardiano che precisa: «Ha 53 anni e soffre maledettamente di dolori alla schiena. Eppure...».
Ma Yiulia ha ben altro a cui pensare. Riprende possesso del suo ufficio rimasto chiuso dal 5 agosto del 2011 quando fu portata in carcere da un gruppo di agenti armati e si occupa subito della vicenda interna. Dirige al telefono il suo fidato braccio destro, Oleksandr Turcinov, appena nominato Presidente a interim. Il nuovo governo dovrà essere equilibrato, dice Yiulia, «dobbiamo salvare l’unità della nazione ». Poi ancora le congratulazioni, le visite di cortesia, l’incontro con l’ambasciatore americano e quello della Ue. Per fare una foto ufficiale con i due, Yiulia aggiusta il cerchietto e si alza in piedi. Soffre e si vede, ma torna a sedersi da sola e fa una piccola, impercettibile, smorfia soddisfatta. E infine il clou della giornata: la telefonata da Berlino. Angela Merkel sceglie di chiamare lei prima dell’appuntamento telefonico fissato con Putin. Ha l’ossessione della unità dell’Ucraina. Yiulia la tranquillizza le spiega di aver fatto di tutto per contenere le frenesie più estremiste. Le assicura di avere in mano la situazione: «Nessuno a Est ci farà la guerra». La Merkel le offre di andare in Germania a curare la sua schiena. Lei ringrazia, rifiuta e rilancia: «Se vengo è per parlare di politica». Si fissa un vago appuntamento «a presto».
Rassicurata la Merkel, Yiulia deve però ancora rassicurare sé stessa. Le tensioni sulla piazza ancora non sono finite. I gruppi di estrema destra, sapientemente convertiti dal “Parlamento rivoluzionario” in una sorta di milizia popolare, non la amano, vedono in lei troppe analogie con la vecchia politica lenta e corrotta. Proprio ieri, mentre stava per arrivare in sede, una pattuglia di giovani armati di bastone ha fermato la sua auto per una presunta infrazione al codice della strada. Un piccolo agguato politico premeditato. Un giovanotto con il cappuccio ha improvvisato un pistolotto sulla «lotta contro i privilegi dei politici». Sporgendosi dal finestrino posteriore Yiulia lo ha subito neutralizzato: «Sono qui proprio per questo. Se il mio autista ha sbagliato mi scuso. Ora lasciaci andare per favore». Dettagli forse, ma non proprio insignificanti.
E c’è un’altra cosa da fare al più presto: placare la sete di giustizia della piazza. Una tv ucraina lancia un’indiscrezione maligna: sabato, nel giorno della fuga, il presidente Yanukovich sarebbe andato a incontrarla nella sua stanza d’ospedale a Kharkiv per cercare una mediazione. Yiulia ha un sobbalzo e detta subito alla segretaria una dichiarazione: «Fai sapere ai giornali che se Yanukovich fosse venuto a trovarmi, adesso sarebbe già in volo per il tribunale dell’Aja». Fine del lavoro. Ci si immerge, almeno per un po’, negli affetti. Si torna rapidamente alla villa dal tetto rosso, sul lungofiume di Koncia-Zaspa a 13 chilometri da Kiev. Bella, lussuosa ma di un gusto molto più sobrio di quella di Yanukovich. Il tempo di commuoversi per le feste dei due mastini che non hanno dimenticato la padrona. Poi la partenza per Dnepropetrovsk, città natale, nell’Ucraina russofona. Va a visitare la madre che non vede da anni. Lì arriverà da Praga il marito Oleg fuggito, perché in aria d’arresto, nei giorni più difficili. Ci sarà anche la figlia Evgenija che ha fatto in qualche modo da reggente del partito e continua a ripetere quanto si senta felice: «Staremo un paio di giorni. Io, mamma, papà e nonna. Era ora». Dunque sua madre si riposerà un po’ finalmente? L’espressione torna seria: «Ma vi pare possibile, in questo momento?».