Roberto Saviano, la Repubblica 24/2/2014, 24 febbraio 2014
CHI HA VENDUTO LA TESTA DEL CHAPO RE DEI NARCOS
PERCHÉ avremmo dovuto dare massima attenzione a un boss messicano arrestato? Perché conta più di un ministro e forse persino più di un governo. L’economia italiana più prolifica è quella criminale, il capitolo più imponente di questa economia è il narcotraffico, il capo messicano arrestato due giorni fa è un leader nel trafficare coca anche in Europa, quindi è anche un leader dell’economia italiana. Sillogismo semplice. In molti credono di conoscere El Chapo. Lo immaginano come uno dei tanti boss criminali. E anche per lui è scattato il solito meccanismo mentale: credere di sapere chi sia un criminale, un narcotrafficante. Falso. In realtà quello che si conosce, se non si approfondisce, se non si segue il dettaglio, è solo una sceneggiatura. I governi europei continuano a non occuparsi dei cartelli del Messico sino a quando come sta già avvenendo – non saranno i cartelli messicani a occuparsi dell’Europa.
El Chapo, ossia “il Tarchiato”, chiamato così perché piccolo e tozzo, al secolo è Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, ed è il capo del Cartello di Sinaloa, il gruppo che ha rivoluzionato il mondo della cocaina.
Perché avremmo dovuto dare massima attenzione a un boss messicano arrestato? Perché conta più di un ministro e forse persino più di un governo. L’economia italiana più prolifica è quella criminale, il capitolo più imponente di questa economia è il narcotraffico, il capo messicano arrestato due giorni fa è un leader nel trafficare coca anche in Europa, quindi è anche un leader dell’economia italiana. Sillogismo semplice. In molti credono di conoscere El Chapo. Lo immaginano come uno dei tanti boss criminali. E anche per lui è scattato il solito meccanismo mentale: credere di sapere chi sia un criminale, un narcotrafficante. Falso. In realtà quello che si conosce, se non si approfondisce, se non si segue il dettaglio, è solo una sceneggiatura. I governi europei continuano a non occuparsi dei cartelli del Messico sino a quando - come sta già avvenendo – non saranno i cartelli messicani a occuparsi dell’Europa.
El Chapo, ossia “il Tarchiato”, chiamato così perché piccolo e tozzo, al secolo è Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, ed è il capo del Cartello di Sinaloa, il gruppo criminal-industriale messicano che ha rivoluzionato il mondo della cocaina.
Lo seguo da anni, archivio le informative su di lui, ascolto ciò che giornalisti messicani e americani dicono di lui, cerco di mapparne gli affari, le fughe, le debolezze. El Chapo si è formato alla scuola del migliore dei maestri, El Padrino Miguel Ángel Félix Gallardo, l’uomo che spostò l’asse mondiale del narcotraffico dalla Colombia al Messico: gli sforzi anti-droga delle autorità colombiane con il supporto degli Stati Uniti dell’era Reagan diedero un duro colpo ai cartelli colombiani di Medellín e Cali. I colombiani, messi alle strette, capirono che sarebbe stato più conveniente affidare la distribuzione della droga negli Usa ai narcos messicani — che fino ad allora erano stati solo semplici trasportatori — in modo da ridurre i rischi che il controllo delle consegne fino agli Stati Uniti comportava. E a comandare è chi distribuisce, non più chi produce. Così i messicani diventarono i nuovi padroni mondiali della droga e El Chapo Guzmán ben presto fu il più potente dei padroni.
El Chapo ha una visione chiara del suo tempo: il mondo occidentale non può farcela, i diritti sono in contraddizione con il mercato, quindi comprende che i Paesi occidentali hanno bisogno di “territori” senza leggi, senza diritti. Il Messico ha la coca, gli Usa i consumatori; il Messico ha forza lavoro a basso costo, gli Usa ne hanno bisogno; il Messico ha soldati a migliaia, gli Usa hanno le armi. Il mondo è colmo di infelicità? Arriva la risposta: coca. El Chapo ha compreso questo. E così è divenuto il re. El Chapo nel mondo internazionale del narcotraffico possiede l’autorità mistica del Papa, ottenuta con una campagna di consenso sociale che l’ha reso autorevole come Obama, e ha una genialità nel vedere nuovi spazi di mercato che lo trasforma nello Steve Jobs della coca. Iperboli che servono a mostrare la particolarità del personaggio.
El Chapo sa una cosa: la democrazia è corruzione, chi la pensa al contrario è un ingenuo. Tutti sono corruttibili, basta trovare il punto di rottura. Paga e ti sarà dato. Nei paesi dove c’è poca corruzione è possibile perché è più conveniente l’onestà della disonestà, ma El Chapo sa che arriverà anche il loro momento in cui tutto è in vendita, la propria anima e il proprio figlio. Tutto. Per strutturare il suo cartello usa il modello italiano, il modello al mondo più efficiente in tema di mafie. Seguendo la tradizione delle famiglie calabresi, campane, siciliane crea un gruppo fidato di parenti o di gente della Sierra che conosce bene. Nomina un “consigliere”, recluta sicari tra ex militari in grado di usare armi pesanti: serietà, professionalità, efficienza. Sono queste le caratteristiche richieste per lavorare nell’organizzazione del Chapo. Ci sono anche alcune regole da seguire: mai usare la violenza se non necessaria e mai ostentare la ricchezza guadagnata, troppo controproducente. Lo ripeteva sempre il Padrino: per dominare davvero bisogna farlo nell’ombra. E infatti El Chapo rimane nell’ombra e nell’ombra governa un impero che cresce a dismisura. Viaggia in incognito. La gente comincia a raccontarsi di averlo riconosciuto ma è vero una volta su cento. Mentre le mafie italiane vengono incastrate dalle intercettazioni, Chapo, sfruttando la crisi economica, è arrivato a corrompere i manager delle compagnie telefoniche per fare in modo che le linee usate dal suo cartello non fossero tracciate. Per trasportare la droga negli Stati Uniti, El Chapo e i suoi uomini utilizzano tutti i mezzi disponibili: aerei, camion, automotrici, autocisterne, auto e, infine, tunnel sotterranei, la loro specialità.
La sua cattura è stata seguita dal Messico con un’apprensione pari a quella per una finale dei Mondiali e superiore a quella di una campagna elettorale presidenziale. Il narco più ricercato del mondo è stato catturato insieme a un suo collaboratore alle 6,40 (ora locale) del 22 febbraio 2014 nell’hotelresidence Miramar, nel centro di Mazatlán, Stato di Sinaloa, grazie a una mega-operazione condotta dalla Marina militare messicana in collaborazione con la Dea statunitense, nella quale sono stati impiegati due elicotteri e sei unità terrestri di artiglieria, anche se non è stato sparato neppure un colpo. Il latitante più pericoloso del Messico, l’uomo sulla cui testa gli Usa avevano da anni messo una taglia da 5 milioni di dollari, si nascondeva a Sinaloa. Come i boss italiani, un capo messicano non si allontana dal centro del suo potere. Forse, in 13 anni di latitanza, da quando cioè era evaso dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande, non si era mai spostato da lì, da quella terra che gli ha dato grandezza e offerto protezione. Tutto parte da Sinaloa, nel Messico nord-occidentale, ma il suo impero va ben oltre i confini di quello Stato schiacciato tra la Sierra e il Pacifico. La rivista Forbes nel 2009 lo inserisce nella lista degli uomini più ricchi del mondo. El Chapo teme investimenti esclusivamente finanziari, come tutti i capimafia del mondo confida nella “roba”: case, fattorie, terreni. E soprattutto usa i suoi soldi per alimentare una rete di corruzione, indispensabile per portare avanti indisturbato i suoi affari. Talmente indisturbato che fino ai primi anni ’90 la Dea a malapena sapeva della sua esistenza. Eppure coca, marijuana, anfetamine, la maggior parte delle sostanze che gli americani hanno fumato, pippato e ingoiato negli ultimi 25 anni, è passata dalle mani dei suoi uomini.
Era dal 13 febbraio che l’operazione militare mirata alla sua cattura era partita: le forze dell’ordine erano riuscite a individuare varie abitazioni di Culiacán, sua roccaforte, dove El Chapo era solito soggiornare. Lui è sempre stato maestro nel costruire tunnel per far arrivare la droga negli Usa e quest’arte gli è venuta buona anche per nascondersi: alcune di queste abitazioni, infatti, erano collegate tra loro da cunicoli sotterranei. Pare che più volte nei giorni scorsi i militari siano stati vicini ad agguantare il boss ma lui è sempre riuscito a scappare. Negli ultimi mesi vari membri del cartello di Sinaloa erano stati arrestati: così si è stretto il cerchio intorno al Chapo. All’inizio della settimana, la polizia aveva effettuato un’incursione anche nella casa della sua ex moglie, Griselda López: qui erano state trovate alcune armi e un tunnel che finiva nelle fogne. Proprio le fognature venivano utilizzate da El Chapo per spostarsi da una parte all’altra della città, di tunnel in tunnel, di nascondiglio in nascondiglio.
La cosa che ha lasciato tutti sorpresi è che El Chapo è stato sorpreso in un residence di Mazatlán, quindi di una città, un porto turistico: non era nascosto tra le montagne della Sierra, come molti credevano. Per anni si sono rincorse notizie di arresti fasulli o di una sua possibile uccisione. Per questo il giorno dell’arresto nessuno poteva credere che fosse accaduto davvero. Su Twitter migliaia di messaggi: “Sarà davvero lui?”. In tanti non hanno nascosto la loro delusione e vicinanza al leader di Sinaloa, e molti di questi messaggi erano in lingua inglese. È stato persino creato l’hashtag #FreeChapo, Chapo libero. Messaggi che raccontano lo stato reale del mondo di oggi molto più di tanti articoli e meeting politici. Ora tutti pensano che El Chapo riuscirà a comandare dalla cella. L’ultima volta che fu catturato, nel 1993, fu poi trasferito nel carcere di massima sicurezza di Puente Grande (Stato di Jalisco) che si trasformò lentamente nella nuova base da cui continuava a dirigere i suoi affari, coccolato da compagni di detenzione, cuochi, guardie penitenziarie e prostitute che regolarmente gli facevano visita. Tutto sommato non era male per lui “soggiornare” a Puente Grande. Otto anni più tardi, però, El Chapo non poteva più permettersi di rimanere dietro le sbarre: la Corte suprema aveva approvato una legge che rendeva molto più semplice l’estradizione nelle carceri statunitensi dei messicani con carichi pendenti oltre confine. Un trasferimento in un penitenziario americano avrebbe significato la fine di tutto.
El Chapo scelse allora la sera del 19 gennaio 2001. Una delle guardie del carcere, Francisco Camberos Rivera, detto “El Chito”, aprì la cella del capo di Sinaloa e lo fece accomodare nel carrello della lavanderia, pieno di panni sporchi. Lo spinse attraverso corridoi incustoditi e porte elettroniche spalancate, fino ad arrivare al parcheggio interno del penitenziario, dove c’era un solo uomo di guardia. Come nei migliori film d’azione americani, El Chapo saltò fuori dal carrello e raggiunse il portabagagli di una Chevrolet Monte Carlo. El Chito mise in moto e lo condusse verso la libertà. El Chapo aveva pagato la sua fuga a suon di mazzette dentro al carcere ma, grazie anche a quella fuga hollywoodiana, divenne un eroe, una leggenda. Aveva scontato solo 8 anni dei 20 a cui era stato condannato, e da quel giorno divenne uno degli uomini più ricercati, non solo del Messico.
La conferma della cattura del Chapo è stata concitata quasi quanto la cattura stessa. All’inizio si trattava solo di indiscrezioni non confermate: la notizia viene diffusa alle 9,54 dall’agenzia Associated Press, che aveva ricevuto la soffiata dell’arresto da un funzionario statunitense rimasto anonimo. Ma per ore le autorità messicane non confermano. Nel frattempo, però, le voci sull’arresto del Chapo cominciano a rincorrersi sui siti di tutto il mondo. Una conferenza stampa annunciata dalle autorità messicane per le 11,30 (ora locale) viene poi annullata dalla Segreteria di Stato, cosa che porta a pensare che in realtà l’arrestato non sia veramente El Chapo. Comincia però a circolare la foto di un uomo a torso nudo, con i baffi, tratto in arresto da un militare in mimetica. Sembra proprio lui, ma sono passati 13 anni dalle ultime foto ufficiali, potrebbe anche essere uno che gli somiglia. L’attesa della conferma della cattura del Chapo tiene con il fiato sospeso. Alle 12,08 il ministro dell’Interno Miguel Ángel Osorio Chong annuncia una nuova conferenza stampa per le 13. Smentiranno o confermeranno? Il dubbio si assottiglia quando alle 12,33 le autorità messicane confermano alla Cnn la cattura del Chapo. Alle 13,20 la sua foto sparisce dalla lista dei più ricercati della Dea. È la conferma americana. Brucia di qualche minuto quella messicana, data dal presidente Enrique Peña Nieto, che con un tweet esprime gratitudine per il lavoro delle forze di sicurezza. In realtà è un’autocelebrazione per il colpo più importante dall’inizio del suo mandato. Alle 14,04 un elicottero della polizia federale atterra davanti ai giornalisti raccolti nell’hangar della Marina. In conferenza stampa le autorità ratificano ciò che ormai tutti sanno: El Chapo è stato catturato. Spiegano dove e come è avvenuto l’arresto. Il Procuratore generale della Repubblica fa l’elenco delle persone arrestate e dei beni sequestrati: 13 persone, 97 armi lunge, 36 armi corte, due lanciagranate, 43 veicoli, 16 case e 4 fattorie.
Manca solo un dettaglio: il protagonista. Ed eccolo, alle 14:11, fare il suo ingresso sulla scena: i fotografi lo immortalano mentre attraversa il piazzale per salire su un elicottero della polizia federale. Jeans neri, camicia bianca, capelli e baffi ben curati. Appare un po’ stanco e per nulla spavaldo, mentre i militari della Marina in mimetica lo tengono per le braccia e gli abbassano la testa.
Nessuna presentazione ai media, solo queste poche immagini a conferma dell’arresto. Alle 15 viene data notizia che El Chapo è stato rinchiuso nel Penal del Altipiano, il carcere che si trova ad Almoloya de Juárez, nello stato del México, ma non è da escludere una sua imminente estradizione negli Stati Uniti. Le autorità americane hanno già annunciato che la chiederanno. È ciò che temono di più i narcos.
Lui che usa tunnel per spedire coca e esseri umani negli Usa ha due figlie con regolare passaporto americano. Ad agosto 2011 la giovane moglie Emma, cittadina americana, diede alla luce due gemelle partorite in tutta tranquillità in una clinica a Lancaster (vicino a Los Angeles), seguita dall’antidroga, che non poté fare niente perché la ragazza, allora ventiduenne, era incensurata. Era stata accompagnata lì dagli uomini del Chapo. Unica precauzione: la donna lasciò in bianco il nome del padre sul certificato di nascita delle bambine. Ma tutti sanno chi è. La cronaca della cattura del Chapo è un evento che il Messico ricorderà per sempre. Per il Paese — e non solo — questa cattura può significare una svolta epocale. Non solo perché la cattura del Chapo potrebbe far sperare nell’inizio di una nuova epoca nel contrasto ai cartelli del narcotraffico, ma anche perché segna sicuramente la fine di un’epoca: quella dei padrini, dell’aristocrazia del narcotraffico, dei cartelli fondati - come le mafie italiane - su valori quali l’onore e la lealtà nei confronti degli affiliati. Chapo è forse l’ultimo erede della vecchia generazione di narcos, che ora lascia il passo a quella nuova, quella del “narco 2.0”, dalla violenza abusata e ostentata, per strada come su internet; il narcotraffico dei boss che non durano più di qualche mese, eliminati da faide interne o dalla loro stessa tracotanza.
Dopo la tanto attesa conferma, accanto ai messaggi di esultanza delle autorità messicane e statunitensi, sui social network sono comparsi anche messaggi di gente comune, che vedeva nel Chapo un eroe, un benefattore, un dio messicano. La reazione più diffusa è quella di incredulità: “El Chapo è troppo furbo per farsi beccare”. Anch’io credo sia impossibile che il potere del Chapo, in un momento di così grande forza, possa essere stato bloccato da un arresto. Le ipotesi sono molte, forse ha deciso lui che era giunto il momento di farsi catturare perché aveva intuito essere l’unico modo per il cartello di fare affari, essendo ormai troppo “politicamente rilevante”. Oppure ha capito che stava per esplodere una faida: il suo fedelissimo El Mayo aveva rilasciato — secondo indiscrezioni — una strana dichiarazione dalla latitanza, affermando che le nuove generazioni del cartello di Sinaloa erano pronte a prendere il potere. Come dire: o gli lasciamo spazio o se lo prenderanno. Forse per Chapo farsi arrestare è stato un modo per farsi da parte senza essere ucciso. O più semplicemente i suoi l’hanno venduto. El Mayo (che ha perso molti uomini recentemente) temeva di essere ammazzato, dicono a bassa voce. Qualcuno sostiene che Chapo voleva farlo arrestare per avere meno pressione pressione su di sé e invece El Mayo lo ha fatto con lui. La stampa si aspettava la cattura di El Mayo e invece è arrivato Chapo. L’unica certezza è l’ambiguità. Difficile che questo arresto sia solo frutto di un’azione di polizia perché, lo sanno tutti, a Sinaloa niente accade se non per volere del Chapo. Il re è morto, viva il re.