Gennaro Sangiuliano, Il Sole 24 Ore 23/2/2014, 23 febbraio 2014
LA RESISTENZA OLTRE IL PCI
Lo storico Renzo De Felice nel saggio Rosso e Nero, uno dei suoi ultimi scritti, avverte: «La Resistenza è stata un grande evento storico. Nessun "revisionismo" riuscirà mai a negarlo. Ma la storia, al contrario del l’ideologia e della fede, si basa sulla verità dei fatti piuttosto che sulle certezze assolute». Il professore precisa: «Una vulgata storiografica, aggressivamente egemonica, costruita per ragioni ideologiche (legittimare la nuova democrazia con l’antifascismo), ma usata spesso per scopi politici (legittimare la sinistra comunista con la democrazia), ha creato, invece, una serie di stereotipi che ci hanno impedito di dipanare i nodi irrisolti degli ultimi cinquant’anni…».
Più o meno contemporanea a quella di De Felice è la riflessione di un altro grande storico, Claudio Pavone, ex partigiano che scrive il volume Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, introduce il concetto di "guerra civile" fino ad allora negato dalla storiografia dominante. E si spinge oltre ponendo un interrogativo sulla moralità della Resistenza stessa. La guerra partigiana fu certamente una guerra patriottica contro l’invasore tedesco ma fu anche una guerra civile fra italiani fascisti e antifascisti, e una guerra di classe dove la frangia comunista propugnava la prosecuzione del conflitto, anche dopo la sconfitta nazifascista contro le classi borghesi fino alla vittoria del proletariato.
Pavone, come De Felice, non discute il valore della Resistenza ma ne coglie una «immagine apologetica, levigata e rassicurante» che si era formata nel tempo come base legittimante della democrazia italiana.
Giampaolo Pansa che alla riflessione sulla Resistenza dedicò i primi passi di studioso (la sua tesi di laurea) torna dopo lunghi viaggi nella politica e nella storia d’Italia ad affrontare quella che definisce una «questione assai più grande e cruciale nella storiografia della Resistenza: il predominio assoluto dei memorialisti e degli storici comunisti». Un titolo di due parole, Bella ciao, canzone simbolo, per proporre storie inedite che tentano di «rimediare a qualche buco della storiografia», troppo legata al Pci che «aveva imposto il proprio punto di vista» nascondendo la realtà di una parte della Resistenza proiettata esclusivamente a «imporre una dittatura popolare d’impronta sovietica». L’egemonia del Pci nella Resistenza fu subito chiara, i comunisti erano gli unici che disponevano nelle loro fila di ex combattenti come quelli confinati a Ventotene che avevano partecipato alla guerra civile spagnola, avevano comandanti duri e autorevoli come Luigi Longo e Pietro Secchia, disponevano anche di cospicue risorse economiche. «I primi a sparare e uccidere furono i comunisti di Reggio Emilia», racconta Pansa, che ricostruisce la lunga serie di agguati messi in atto dai Gap, la punta avanzata e più ideologica del comunismo armato. Questi gruppi colpirono non solo i fascisti ma anche personaggi ritenuti nemici di classe o potenziali ostacoli della rivoluzione. Uno dei reduci della Spagna, Francesco Scotti, poi ammetterà: «Qualche compagno sosteneva che non era giusto scatenare il terrore individuale, perché questo era contrario ai principi marxisti leninisti». E Giorgio Bocca scrive: «Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Cerca la punizione per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio».
Il Cln, il Comitato di Liberazione Nazionale, la struttura politica in cui erano rappresentati in posizione paritaria tutti i partiti antifascisti e articolata sul territorio, contò nei fatti sempre poco, i comunisti decidevano, facevano, e poi al massimo chiedevano la ratifica di quanto già eseguito. Fu così per l’assassinio di Gentile.
La storia, però, è fatta di contestualizzazioni. Pansa, opportunamente, insiste anche sul clima delle violenze fasciste, le fucilazioni di giovani inermi renitenti alla leva ordinate da Graziani, il collaborazionismo odioso con i nazisti, l’oppressione tedesca, le deportazioni, le persecuzioni vili e assurde degli ebrei.
Gli spicchi di verità si susseguono nelle pagine del libro, aprendo polemiche, dalla vicenda di Francesco Moranino, il comandante Gemisto, condannato all’ergastolo dalla magistratura, fatto eleggere più volte dal Pci in Parlamento e graziato da Saragat, al mistero dei sette fratelli Cervi, forse non aiutati dai vertici della Resistenza perché troppo autonomi rispetto al Pci.
«Il diavolo si nasconde nei dettagli», annota in una delle ultime pagine Pansa. E su questi dettagli si misurerà un lungo confronto.