Chiara Maffioletti, Corriere della Sera 23/2/2014, 23 febbraio 2014
LE RICETTE, GLI ASSAGGI, IL TALENTO A MASTERCHEF È L’ORA DEI BIMBI
La frase «ho iniziato a cucinare quando ero molto piccolo», fa una certa impressione se a dirla è un bambino di 8 anni. Un aspirante chef, anzi. Perché, anche se ufficialmente sono bimbi — dal momento che hanno tra gli 8 e i 13 anni —, visti da vicino i 14 concorrenti della prima edizione italiana di «Junior Masterchef» (al via il 13 marzo alle 21.10 su Sky Uno Hd) sembrano più degli adulti in miniatura. Per la competenza con cui parlano di piatti e ricette ma anche per la lucidità con cui descrivono i loro progetti per il futuro.
«La cucina mi piace molto», spiega un mini-concorrente seduto nella sala giochi allestita appena fuori dallo studio del talent show, simile alla versione per adulti. Indossa una casacchina da chef, non ha ancora 10 anni ma le idee sono già chiarissime: «Anche se questa è la mia passione da grande non voglio fare lo chef perché è troppo impegnativo, non hai tempo, e io voglio una famiglia. Farò il botanico». Mentre racconta, un «collega» 11enne lo ascolta, sfogliando un quadernone ad anelli: «È il mio ricettario — spiega —. Ogni volta che invento una nuova ricetta la trascrivo e poi la aggiungo qui. Ora è il momento di usarle: è una grande occasione per me».
«Junior Masterchef» non è un programma per bambini. È una nuova versione di quel format che ha fatto diventare la parola «impiattare» un vocabolo di uso comune anche in trattoria. Lo ripetono anche i 14 concorrenti di questo talent che — proprio come nella sfida per adulti — vede schierati tre giudici pronti ad assaggiare i loro piatti. Sono Lidia Bastianich (mamma di Joe, negli Stati Uniti è lei la star), Alessandro Borghese e Bruno Barbieri, anello di congiunzione tra la versione standard e questa nuova. Secondo Lidia Bastianich, alla prima esperienza con la tv italiana, per i bambini lo show rappresenta l’opportunità «di avvicinarsi al cibo. Ho tenuto sempre i miei figli vicino a me quando cucinavo. Metti un bimbo in cucina e il divertimento è assicurato».
D’accordo le famiglie dei concorrenti. Anche se i piccoli parlano del programma come di «una grande opportunità», papà e mamme stemperano tutto nella «bella esperienza». «L’idea che anche i piccoli passassero attraverso competizioni e eliminazioni poteva parere un azzardo — racconta Borghese — ma mi sono accorto che hanno una tempra molto forte: sono figli dei programmi di cucina, sanno bene come funzionano certi meccanismi. Le eliminazioni possono essere momenti di crescita: nella vita si può anche perdere». Insomma, per loro è un gioco, «anche se un gioco serio. Sono motivati: da grandi vogliono fare questo mestiere. La nostra responsabilità come giudici è valutare correttamente quelli che saranno i prossimi Borghese, i prossimi Barbieri». Dopo aver giudicato tanti adulti, Barbieri è entusiasta: «All’inizio credevo ci fosse qualcosa che non quadrava in questo progetto. Pensavo che a un certo punto intervenisse qualcuno a sistemare le cose. Quando poi ho visto i bambini lavorare, dal vivo, ci sono rimasto abbastanza male». Tutto vero, assicura: «In Italia ci sono dei giovani talenti veramente bravi». Ed è proprio il ruolo di «talent scout» della cucina ad appassionarlo: «In questo programma ho trovato la spinta che cercavo verso il talento. Credo sarà un successo».
Qualche difficoltà c’è stata: «La frase: “Togli il grembiule”, finché la dici a un adulto fa un effetto, ma con un bambino è diverso. Abbiamo voluto non cambiare rispetto all’originale. Certo, magari qui spiego meglio perché un piatto non funziona». E come «Masterchef» ha cambiato il modo di fare cucina in tv, Barbieri si dice convinto che questa versione cambierà l’approccio dei più piccoli al cibo: «I bambini dovrebbero iniziare a conoscere gli alimenti e a sperimentare fin dallo svezzamento. Per dire, Carlo (Cracco, ndr.) a suo figlio, quando aveva sette mesi, ha fatto assaggiare il piccione».
Chiara Maffioletti