Sebastiano Vassalli, Corriere della Sera 23/2/2014, 23 febbraio 2014
I DOLORI DEL GIOVANE SAVIANO
Saviano si lamenta e ha ragione. Voleva fare lo scrittore, non voleva fare l’eroe: invece, le cose sono andate in quest’altro modo e lui ora deve prenderne atto. Ci ha raccontato tutto della camorra, e in questa parola: tutto, c’è la sua maledizione e la sua condanna perché in pratica non ha più niente da raccontarci e perché la sua sorte, ora, è legata a quella degli uomini ( i «bestioni tutto stupore e ferocia» di cui ci ha parlato il napoletano Giovambattista Vico) che sono la camorra, quella camorra. Non ci sono precedenti in letteratura. Sciascia, della mafia, ci ha raccontato tutto e niente: e la sua bravura è consistita più nel raccontare niente che nel raccontare tutto. Poi, ha parlato d’altro: dello smemorato di Collegno, di Ettore Majorana, della «strega» Caterina Medici. Non era un eroe, ma se qualcuno ha voluto credere che lo fosse glielo ha lasciato credere. Ha fatto il politico. Saviano, con «Gomorra», ha scritto un libro importante e necessario, e tutte le persone perbene di questo Paese gliene sono grate. È entrato da sé, con entusiasmo, nei panni dell’eroe. Per uscirne (ma vuole davvero uscirne?), dovrebbe uscire dal suo personaggio. Dovrebbe uscire da Gomorra. È difficile e gli ci vorrebbe del tempo, lo so; ma, forse, può ancora farcela.