Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 23/2/2014, 23 febbraio 2014
I SORRISI E LE BATTUTE. RENZI GIURA IL GRANDE GELO DI LETTA
La campanella passa di mano con una velocità tale che i fotografi non hanno tempo di scattare. Occhi girati altrove, sguardi che non si incrociano, mani che si stringono fugacemente. Al confronto, Prodi e Berlusconi erano cari amici. Enrico Letta è furibondo e Matteo Renzi non fa nulla per scioglierlo. L’ex premier si sente tradito, il nuovo gli rimprovera di averlo costretto a una forzatura «quando appariva chiaro a tutti che non avevo scelta diversa dall’andare al governo»; a tutti, anche a Napolitano.
Il giuramento è un «one man show». I fotografi gridano «presidente!» e anche se siamo al Quirinale si volta subito lui, Renzi. Del resto dieci mesi fa, nel giorno funestato dal ferimento del brigadiere Giuseppe Giangrande, giurava il governo del presidente della Repubblica: Saccomanni, Bonino, Giovannini; tutti assenti. Oggi giura il governo del presidente del Consiglio. Padoan, voluto da Napolitano, non c’è. In compenso ci sono giovani non sempre di prima fila, dietro i quali si intravede direttamente l’ombra del premier.
Renzi ride. Prima un sorriso breve a Maria Elena Boschi, poi uno più aperto per Federica Mogherini, infine con Andrea Orlando scoppia proprio a ridere: «Allora, sei contento?»; Orlando, che sarebbe rimasto volentieri all’Ambiente evitando la grana della Giustizia, si schermisce, interviene Napolitano: «Coraggio…». Già superata l’emozione di salire al Colle con la moglie Agnese vestita di grigio e la figlia Ester col piumino: «Mi sono perso due figli, dove sono Francesco ed Emanuele?». Poi Renzi indica alla bambina lo scalone d’onore e gli stucchi. In cima li attende Clio Napolitano con il marito.
Unico tratto formale, la giacca scura abbottonata. Per il resto, il premier è se stesso anche nel suo primo giorno. È il giuramento più breve degli ultimi sessant’anni — appena quindici ministri, vista l’assenza di Padoan —, ma Renzi non riesce a stare fermo, non sa dove mettere le mani, si alza sulla punta dei piedi, parla con i reporter che lo fotografano, ha un gesto d’intesa per Poletti, fa il serio solo con i ministri del Nuovo centrodestra; ma poi ride pure con Angelino Alfano, che ha portato la moglie Tiziana e il figlioletto Cristiano, identico a lui. I figli di Renzi sono vestiti di bianco, rosso e verde. Con la madre li accudisce Luca Lotti, considerato in famiglia come uno zio.
Mai vista tanta stampa estera nel Salone delle Feste del Quirinale, compresa una troupe di cameramen giapponesi affannatissimi. La Mogherini si è convinta di essere Hillary Clinton e si è vestita come lei: stessa tinta dei capelli, stessa pettinatura, stessa giacca rosa salmone. La Boschi indossa invece pantaloni dal colore introvabile in natura. La Forrest Gump italiana, Marianna Madia, sottratta alla visione di Peppa Pig, spiega che sarà l’anti-Brunetta: «Nella pubblica amministrazione non ci sono fannulloni ma preziosi lavoratori!». Molta Roma, molta Emilia. Poco Nord: nessun piemontese, nessun veneto. Poco Sud: né campani né pugliesi.
Napolitano, al quinto giuramento (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta), appare tra l’imbarazzato e il divertito. La sua stretta di mano è lunga, quella di Renzi nervosa. La Pinotti con i tacchi è più alta dei corazzieri. Perfide croniste si sfidano a individuare il colore del vestito della Boschi: blu elettrico, blu carta copiativa, blu tuta di Capitan America… La Giannini, catapultata in un anno dal rettorato dell’università per stranieri di Perugia al ministero dell’Istruzione, è in prudente nero con due fili di perle. Comunque le donne sono le migliori in campo: si fermano a parlare volentieri, sorridono, si fanno gli auguri a vicenda; non a caso Napolitano si fa fotografare tra la Mogherini e la Lanzetta, con stivali scuri al ginocchio. Ministri sbiaditi. Solo Franceschini sorride con il capo dello Stato: «Ero abituato a essere il più giovane, mi sono distratto un attimo e sono uno dei più vecchi…». «Chi c’è più grande di te?». «Be’, Padoan, Poletti…». Renzi ovviamente se la ride. Poi si ricompone al momento della stretta di mano. Federica Guidi tradita dal trucco ha due pomi rossi sulle guance tipo Heidi d’estate. Breve gara, tra le croniste sempre più spietate, sul colore del vestito della Lorenzin: lavanda, carta da zucchero, prugna acerba, glicine… Giapponesi attoniti. Alla fine i ministri si fanno un applauso e si ritirano a brindare.
Tranne la Boschi, non ci sono renziani; c’è lui, e basta. Dietro a ogni poltrona si staglia il profilo del premier. Il decreto per tagliare la burocrazia e riformare la pubblica amministrazione, ad esempio, dovrà essere varato nel mese in cui il ministro preposto diventerà mamma per la seconda volta. I più avveduti tra i suoi uomini si rendono conto del rischio di un accentramento eccessivo. Dopo il primo giro di interventi nel Consiglio dei ministri, il sottosegretario Graziano Delrio interviene per avvertire gli esordienti: «Prendetevi le vostre responsabilità, non scaricate tutto su Palazzo Chigi, altrimenti qui non viviamo più». Renzi ha parole di incoraggiamento: «La ricreazione è finita, mettiamoci al lavoro. Sono molto soddisfatto di questa squadra. Un consiglio, in particolare ai nuovi: non fatevi impressionare dalle telecamere in attesa qui fuori. Evitate di cadere nella trappola degli annunci. Rimanete uniti. E fate come me: non state sempre a Roma. Andate in giro, nelle scuole, nelle fabbriche. Non cercate privilegi, non ostentate le scorte. Evitate i microfoni, cercate i cittadini. Parlate con le persone normali». Gli fanno visitare Palazzo Chigi: «Quando sarò a Roma voglio stare qui, ma nell’appartamento di servizio, quello più piccolo». Poi la telefonata ai marò prigionieri in India: «Non vi abbandoneremo, faremo di tutto per riportarvi a casa». In privato Delrio avverte i ministri: «Non abbiamo tempo da sprecare. Ci giochiamo già molto fin dalle prime settimane. Dobbiamo subito battere due o tre colpi sul lavoro, la burocrazia, il fisco. E anche sui tempi della giustizia». Di nomine non si è parlato, ma un reporter inglese riferisce le voci che girano a Londra: Colao all’Eni, Gubitosi all’Enel, che libererebbe la direzione generale Rai per Campo Dall’Orto .
Un anno fa, nell’ultimo weekend di febbraio, si andava a votare, con lo choc del disastro di Bersani, della rimonta di Berlusconi, del successo di Grillo. Renzi va di fretta come se il Paese avesse perso un anno aspettando lui, Letta esce di scena in silenzio salutando gli impiegati di Palazzo Chigi con la mano sul cuore. Prima di tornare a Pontassieve con la famiglia, il nuovo premier saluta la folla di passanti e di curiosi. Presto si accorgerà che il rapporto con l’opinione pubblica non si esaurisce nei «selfie» e nei «cinque» distribuiti al volo; in questa situazione — con Berlusconi all’opposizione, Grillo pronto all’ostruzionismo anche fisico in Parlamento, lettiani e bersaniani dal coltello pronto dietro la schiena, il difficile voto europeo del 25 maggio —, il nuovo governo non avrà neppure i classici cento giorni per portare a casa i primi risultati.