Paolo Rastelli, Corriere della Sera 23/2/2014, 23 febbraio 2014
IL FATTORE CRIMEA
A metà Ottocento Francia e Gran Bretagna (aiutate dal Piemonte di Cavour) la scelsero come terreno di scontro per bloccare le mire espansionistiche della Russia zarista contro l’Impero ottomano. E un secolo dopo per Hitler era una vera e propria fissazione: chi teneva la Crimea, diceva il Führer, controllava il Mar Nero, aveva la strada aperta per il petrolio del Caucaso, teneva in pugno i Balcani profondi e soprattutto metteva al sicuro gli importantissimi (per lo sforzo bellico tedesco) pozzi petroliferi romeni di Ploesti. Così nel 1941-42 la Wehrmacht assediò per oltre sette mesi Sebastopoli, la base navale più importante della penisola, riuscendo a conquistarla dopo una lotta durissima di oltre 40 giorni dall’inizio dell’attacco decisivo. E nel 1944, quando le sorti della guerra si erano rovesciate e l’Armata Rossa non dava tregua alle forze tedesche, Hitler si rifiutò testardamente di accorciare il suo fronte abbandonando la Crimea, che venne riconquistata dai sovietici in circa un mese con forti perdite germaniche.
Oggi la Crimea fa parte dell’Ucraina: fu Nikita Kruscev, nel 1954,a «regalarla» a Kiev (erano tempi in cui il padrone del Cremlino, chiunque fosse, aveva immensi poteri, compresi quello di ridisegnare la carta geografica distribuendo province a suo piacimento), un regalo divenuto definitivo nel 1995 dopo non poche frizioni tra Russia e Ucraina. Ma la flotta russa del Mar Nero, come del resto aveva fatto quella sovietica, ha ancora Sebastopoli come base principale. E la Crimea è ancora una specie di portaerei proiettata verso i Dardanelli e il Bosforo, porta turca del Mediterraneo orientale, sogno dell’imperialismo moscovita fin dal XIX secolo. Ecco perché nessuno si è stupito quando tre giorni fa una fonte russa, anonima ma attendibile, ha rivelato al Financial Times che Mosca potrebbe fare ricorso alle armi per impedire una secessione violenta dell’Ucraina che non tenga conto degli interessi geo-strategici russi in Crimea.
Se con qualche improvvisazione l’Ucraina occidentale si può considerare filo-europea e gravitante verso la Germania e quella orientale si può definire filo-russa, la Crimea è un pericoloso calderone che porta nella carne di uno dei suoi gruppi etnici più importanti, i Tatari, il ricordo della deportazione in Uzbekistan ordinata da Stalin nel 1944 come punizione per l’aiuto dato ai tedeschi, con un tasso di vittime che secondo alcune fonti arrivò al 46%. Tuttavia è stata russa per quasi due secoli dopo che nel 1783 venne strappata ai Turchi e la sua popolazione è in maggioranza di origine russa: se Mosca, come fece in Georgia negli anni ’90, dovesse decidere di proteggere i «fratelli di Crimea» dalle minacce vere o supposte di un’eventuale «nuova» Ucraina post-Yanukovich, si aprirebbero scenari foschi.