Andrea Montanari, MilanoFinanza 22/2/2014, 22 febbraio 2014
L’ING È A CORTO DI ENERGIA
Alla soglia del traguardo delle 80 primavere che taglierà il prossimo 14 novembre Carlo De Benedetti, fondatore di Cir da sempre posizionato in area centrosinistra, al punto che molti lo considerano uno dei grandi ispiratori del nuovo governo targato Matteo Renzi, pensava di godersi diversamente la pensione. E di veder destinati a ben altro i 491,3 milioni di euro incassati dalla holding Cir grazie al Lodo Mondadori dopo la dura e ultraventennale battaglia giudiziaria contro l’arcirivale Silvio Berlusconi in merito alla spartizione della casa editrice di Segrate. Un Ingegnere (e cavaliere del lavoro) che, essendosi ritirato da ogni carica operativa dal gennaio 2009, aveva predisposto con calma e cura la successione nell’accomandita di famiglia, girando fin dall’ottobre 2012 le quote ai tre figli (Rodolfo, Marco e Edoardo) e ritagliandosi per sé solo il ruolo di presidente del Gruppo L’Espresso, pregustava tutt’altro futuro per i business sviluppati nel corso degli ultimi quarant’anni (l’editoria, la componentistica per auto, la sanità e l’energia). E invece, seppure indirettamente e informalmente, deve mantenersi aggiornato sullo stato dell’avanzamento della ristrutturazione finanziaria e industriale di Sorgenia, dopo aver registrato la messa in sicurezza negli anni scorsi del Gruppo L’Espresso, grazie all’efficace lavoro del top manager Monica Mondardini, promossa anche e proprio per questo, nell’aprile 2013, ad amministratore delegato di Cir a fianco del presidente Rodolfo De Benedetti, l’erede indicato e designato dal padre in tempi non sospetti.
Ed è proprio sul business energetico, fortemente voluto da Rodolfo nel 1999 (allora nacque come Energia) e che, val la pena di ricordare, fino al 2011 grazie alla diversificazione nelle rinnovabili e all’espansione internazionale andava a gonfie vele, produceva utili e non pareva destinato a rallentare, che la famiglia De Benedetti e i manager di fiducia devono concentrarsi per evitare di veder sfumare un’attività che a tutt’oggi garantisce la metà del giro d’affari di Cir ma che al contempo rischia di ingessare la stessa holding dotata almeno fin al 30 settembre scorso di una liquidità a livello consolidato di 542,1 milioni. Somma che il mercato ipotizzava venisse destinata in buona parte alla remunerazione dei soci. Le attenzioni e le forze dei De Benedetti e del management, in primis la stessa Mondardini e l’ad di Sorgenia Andrea Mangoni (ex Acea e Telecom), arrivato al capezzale della società nel luglio scorso per prendere il posto del manager della prima ora, Massimo Orlandi, sono ovviamente tutte rivolte a dipanare la matassa del debito dell’azienda energetica. Sorgenia ha infatti un’esposizione di 1,8 miliardi nei confronti di 21 istituti, di fatto l’intero sistema creditizio italiano a partire da Mps (esposta per 600 milioni). Proprio quest’ultima, quando nel settembre 2007 definì l’ingresso nel capitale di Sorgenia Holding (1,21%), le attribuì implicitamente una valutazione di 2,73 miliardi facendole spiccare definitivamente il volo.
Ma che cosa ha fatto precipitare la situazione di Sorgenia nel giro di due anni? E perché nessuno se n’è accorto in tempo? Sono questi gli interrogativi che si pone il mercato, gli investitori di Cir e le banche che hanno dato fiducia nel tempo all’azienda. Una premessa è d’obbligo. In Europa ci sono altri operatori, tra cui big del calibro di E.On e Rwe, che hanno anch’essi sofferto le avverse condizioni di mercato. A ciò va aggiunto il tracollo dei consumi energetici che ha colpito tre anni fa il mercato italiano. Basti dire che la domanda elettrica è calata dai 334,6 terawatt/ora del 2011 ai 317,1 twh dello scorso anno. Mentre la produzione termoelettrica è scesa da 218,5 a 182,5 twh. Analizzando il caso aziendale, invece, su Sorgenia hanno inciso gli oneri finanziari pagati (vedere tabella in pagina) a fronte dell’ingente indebitamento legato a sua volta alla politica d’investimenti e crescita impostata negli anni precedenti dalla gestione Orlandi.
Mentre l’altro scossone, nel 2013, è arrivato dalla svalutazione della partecipazione in Tirreno Power, colpita dalla crisi energetica e oggi dalla doppia inchiesta della Procura che accusa l’azienda di Vado Ligure di essere colpevole della morte di oltre 400 persone. Ma va anche detto che forse la visione strategica, sin dal principio, è stata sempre troppo ottimistica e basata tutta sulla crescita costante. Mai i vertici del gruppo hanno provato a impostare nei vari business plan degli scenari di flessione o quantomeno di contrazione dei consumi. E questo è costato e costa caro.