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 2014  febbraio 23 Domenica calendario

L’ENTUSIASMO DELL’ACCENTRATORE RENZI A PALAZZO TRAVOLGE TUTTO


Abbiamo un premier che, almeno per adesso, pare il ritratto della felicità. Chi conosce Matteo Renzi è abituato a vederlo scherzoso, divertente, pronto alla battuta. Ma in questi giorni ci appare ilare, diremmo addirittura sovreccitato, come mai prima. Ieri ha riso, o sorriso, tutto il giorno. Anche quando aveva a fianco un Napolitano che sembrava l’incarnazione della solennità delle Istituzioni; anche quando Alfano - che non gli è simpatico, e al quale non è simpatico - gli ha giurato davanti; anche e perfino all’inizio del passaggio di consegne più gelido che si ricordi, quello con Letta a Palazzo Chigi.
L’uomo, sia detto senza offesa, è come si sa discretamente ambizioso. Sembra mosso da una sorta di insofferenza nel restare dov’è. Sulla rete circola l’apocrifo di un suo appunto nel quale, sotto il titolo «Cose da fare», si elencano sette passaggi successivi. I primi tre sono spuntati perché raggiunti: sindaco di Firenze; segretario Pd; presidente del Consiglio. Restano: vincere Sanremo; capocannoniere mondiali; Oscar miglior attore; Papa.
Ma l’ambizione è la molla che ha mosso ogni grande uomo e ogni grande impresa. Fa parte del carisma del leader, e indubbiamente Renzi è un leader carismatico. Se finora è arrivato dov’è arrivato, lo deve soprattutto a questo: al carisma. A Palazzo Chigi non entra perché eletto dal popolo, né perché abbia un curriculum da servitore dello Stato, e neppure per chissà quali protezioni. Semplicemente, vi entra trascinato dalla forza della sua personalità. Non si propone: si impone. È uno che riempie la scena. Ieri mattina, nel Salone delle feste al Quirinale, si faticava a trovare non diciamo un posto, ma anche un minino spazio vitale: «C’è il triplo delle telecamere dell’anno scorso quando ha giurato Letta», ha detto un teleoperatore, e chissà come mai.
Eppure avrebbe dovuto prevalere un senso di noia, o almeno di stanca ripetitività. Era il quinto giuramento davanti a Napolitano; il terzo nel giro di soli ventisette mesi, una frequenza che ci riporta ai tempi delle convergenze parallele e dei governi della non-sfiducia. Ma c’era Renzi: più brillante di Monti, più eccitante di Letta. In una parola, esplosivo. S’è detto che è il più giovane presidente del Consiglio della storia della Repubblica: ma anche Mussolini, che pure di esplosività se ne intendeva, quando arrivò a Palazzo Chigi era più vecchio di lui, di due mesi.
Renzi s’è imposto per la sua diversità da una classe politica che vuole mandare in soffitta per sempre. E anche ieri ha cercato di farla vedere, questa diversità. L’hanno finalmente costretto ad avere una scorta, ma lui è uscito dal suo normalissimo albergo come un normalissimo padre di famiglia, con la moglie Agnese che pare aver tutti i requisiti della perfetta first lady ombra (i grandi leader hanno sempre mogli che sanno stare nell’ombra) e i tre bambini. Ha scherzato con il macellaio che sta all’angolo, ha scambiato due battute con i passanti, poi è salito su una Alfa Romeo grigia fuori produzione con la moglie e la figlia più piccola, mentre i due piccoli l’hanno seguito al Quirinale su un’altra auto guidata da Luca Lotti, l’amico di una vita, quello con i riccioli biondi.
Arrivato sul Colle, come detto è entrato nel palazzo del capo dello Stato come una forza della natura. Aveva, questa volta, l’abito giusto, quello scuro. Ha sbrigato la pratica del giuramento in quindici minuti, dalle 11,33 alle 11,48. Poi se n’è andato a palazzo Chigi, e solo lì lo abbiamo visto assumere un’espressione seria, quasi grave, mentre attraversava il cortile passando accanto al picchetto d’onore. Ma poco dopo, quando ha preso in mano la campanella, già era tornato quel tipico fiorentino che pare uscito da Amici miei, nonostante avesse accanto un Letta livido, al quale ha poi dato la mano senza degnarlo di uno sguardo, e senza esserne degnato.
Un uomo che arriva a Palazzo Chigi direttamente da Palazzo Vecchio, a 39 anni, senza essere mai stato in parlamento, e dopo quattordici mesi dalla sconfitta alle primarie contro Bersani, è il trionfo della volontà, la vittoria di chi vuole fortissimamente vuole. Avrà anche la forza per durare? Renzi è un uomo intelligente e scaltro. Sa che in questi primi mesi si gioca tutto. Lui non è come gli altri politici che possono permettersi di non mantenere le promesse: lui non ha detto che farà delle riforme, ha detto che farà una rivoluzione. E le rivoluzioni non si fanno a metà. Perfino uno come Di Pietro è riuscito a durare vent’anni: ma Renzi o funziona subito o non funzionerà mai.
Dicono che abbia scelto ministri di non grande personalità perché è un accentratore e gli garba comandare solitario. A Firenze, in un solo mandato da sindaco, è riuscito a cambiare tutti i suoi assessori. Un po’ dittatore? Forse siamo in uno di quei momenti in cui gli italiani uno un po’ dittatore sono anche disposti a digerirlo. E questa è una delle fortune di Renzi: ridotti come siamo, è difficile trovare qualcuno che, magari sotto sotto, non faccia il tifo per lui.