Aldo Grasso, Corriere della Sera 22/2/2014, 22 febbraio 2014
QUELLA SVOLTA STORICA NELLA CULTURA POP
Alle volte il destino si prende delle confidenze che nemmeno immaginiamo (anche se qualcosa del genere era già successo con Claudio Villa). Due giorni fa, in pieno festival di Sanremo, è morto Gianni Borgna, ex assessore alla cultura del comune di Roma con Rutelli e Veltroni, politico e critico musicale (ne ha scritto ieri sul Corriere Paolo Franchi). A lui si deve una svolta fondamentale nell’introduzione in Italia del concetto di «pop culture» che, allora, gramscianamente, si chiamava ancora «cultura nazional-popolare».
Nel 1980, presso l’editore Savelli, Borgna pubblicò un libro che fece molto scalpore: La grande evasione. Storia del festival di Sanremo: 30 anni di costume italiano . Per la prima volta, nell’ambito della sinistra, le «canzonette» venivano considerate qualcosa di più di una piccola evasione, pur fra mille cautele, scetticismi («Sanremo non è cultura popolare ma elefantiasi dei consumi», Natalia Aspesi), perplessità («Le cose più appetitose da rivalutare sono già state rivalutate. Era giusto rivalutare Totò. Era giusto rivalutare la commedia all’italiana. Forse era persino giusto rivalutare Matarazzo — non so: qualche volta ho qualche dubbio. Ma se si continua per questa strada si finisce per rivalutare “Susanna tutta panna” con Marisa Allasio», Beniamino Placido, recensendo il libro di Borgna).
Insomma, quell’idea che Sanremo stesse diventando un «luogo della memoria», cioè un racconto pubblico, un patrimonio della storia sentimentale della società era ancora lontana. Ma intanto Gianni Borgna aveva aperto la strada. Scriveva: «Il festival di Sanremo, tanto maltrattato e vilipeso, è stato in realtà uno specchio fedele del costume italiano ed è un frammento, tra i più significativi, della “cultura popolare” del nostro Paese». Dopo il libro La grande evasione non si dirà più «sono solo canzonette». Si dirà «è solo l’Italia».