Federico Geremicca, La Stampa 22/2/2014, 22 febbraio 2014
L’UOMO SOLO ORA È DAVVERO AL COMANDO
I più delusi dicono che è stato quello - quel tweet scritto in un salone del Quirinale - il canto del cigno del «renzismo», l’avvio della metamorfosi, la pietra tombale sulla Leopolda e sul suo senso, coraggio, sfrontatezza, avanti sempre e senza paura: «Arrivo, arrivo! La volta buona». Quelli che continuano a crederci, invece, elencano le novità e si dicono felici: il governo più snello dal 1947, il premier più giovane della storia repubblicana, la prima volta di una donna al ministero della Difesa, la prima volta di un quarantenne (e donna) al ministero degli Esteri, una trentatreenne a coordinare il delicato lavoro sulle riforme...
Secondo una vecchia regola - e non giureremmo sbagliata, anche se vecchia - quando bisogna elencare e spiegare novità e successi, vuol dire che non sono (sia le novità che i successi) così evidenti e indiscutibili da imporsi da soli. È vero. E diventa a maggior ragione vero, quando alcuni successi non possono esser eccessivamente sbandierati pena la fine di un governo appena nato: ci riferiamo al ridimensionamento del ruolo del leader Ncd, Alfano, che perde la carica di vicepremier.
Così che sia possibile dire - a differenza del governo Letta-Alfano - che questo è «il governo di Matteo Renzi», punto e basta.
Naturalmente, questo non sarà sufficiente a mettere al riparo il neo-premier dalla constatazione che, pur avendo pesantemente criticato Alfano per la gestione del caso Shalabayeva, lo ha lasciato al ministero dell’Interno. E tantomeno dall’accusa di averlo confermato al governo dopo aver detto «non voglio assolutamente essere accomunato a lui... io ho ricevuto un mandato popolare, lui è stato portato al governo da Berlusconi quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze». Ma sono cose che possono capitare, nella vita: soprattutto quando si vuole assolutamente fare un governo, e per farlo i voti indispensabili li detiene proprio lui, Alfano, appunto...
Il «renzismo» che si fa governo, insomma, resta una cosa tutta da scoprire: fatte le debite differenze (per alcuni indebite: e già questo è un problema...) il fulmineo avvento di Matteo Renzi somiglia alla strepitosa ascesa di Silvio Berlusconi nel 1994. Anche allora - in fondo come oggi - la «novità» fu imposta dal calo verticale di credibilità e dalla travolgente crisi dei partiti politici e dei soliti noti: una circostanza che rende solitamente possibile (o addirittura necessario) un ricambio radicale, ma non garantisce affatto sulla bontà della «rivoluzione» che va in campo. Certo, il precedente non è incoraggiante: ma le differenze tra il Cavaliere e il rottamatore sono talmente tante che è largamente possibile immaginare un epilogo del tutto differente.
Si era detto - a maggioranza politica invariata, e nelle ore in cui si immaginava una squadra di governo solo parzialmente rimpastata - che tutto sarebbe dipeso da Renzi e basta, dalla sua capacità di trasmettere energia senza perdere la propria. E che questo era troppo poco. Ora, se è vero che il nuovo esecutivo è invece assai diverso - e in ruoli chiave - da quello precedente, resta comunque confermata quell’affermazione. E la domanda, dunque, è: basterà Renzi, basterà l’uomo solo al comando, a cambiare verso all’Italia? La risposta non è semplice: ma come spesso accade quando si parla di futuro, per interpretarlo e prevederlo si può ricorrere al passato...
Il passato - recente, in questo caso - ci dice che un Pd sostanzialmente immutato nella sua linea, nel suo profilo e nella sua organizzazione, è stato letteralmente stravolto dall’arrivo alla segreteria di Matteo Renzi: in un mese ha ottenuto - attraverso un pur discusso accordo con Silvio Berlusconi - l’arrivo in aula di una legge elettorale attesa da anni; e in un altro mese ha liquidato il governo Letta con una disinvoltura e una rapidità che non ha - di fatto - precedenti. Ma quello, si potrebbe dire, era ancora il «Renzi di lotta», mentre gli interrogativi di oggi riguardano il «Renzi di governo». Distruggere - è vero - è assai più facile che costruire o ricostruire. Ma la chance di provarci, il neo premier l’ha conquistata sul campo: e che non sbagli, adesso, non è più speranza che riguardi soltanto lui...