vari (vedi testo), La Stampa 22/2/2014; Corriere della Sera 22/2/2014, 22 febbraio 2014
ANDREA ORLANDO (GIUSTIZIA)
Il quarantacinquenne Andrea Orlando è uno degli ultimi prodotti della Federazione dei giovani comunisti di cui è stato segretario provinciale alla Spezia, città in cui è nato. Fu consigliere comunale con il Pci ed è arrivato al Partito democratico passando per Pds e Ds, come tanti meno giovani di lui. Con Piero Fassino approda in direzione nazionale, con Walter Veltroni diventa portavoce del partito, con Pierluigi Bersani è responsabile giustizia, con Enrico Letta raggiunge il governo e con Renzi ci rimane. Perché, come succede a quelli allevati nella tradizione, sa guadagnarsi velocemente la fiducia di chi comanda.
Mattia Feltri
Massimo Gramellini
L’ANAGRAMMA–
Andrea Orlando = Annoderà ladro
di Marco Bresolin
ANDREA ORLANDO–
Giustizia
Partito democratico, 45 anni
(Giovanni Bianconi) «Diploma di liceo scientifico, dirigente di partito» recita la biografia ufficiale della Camera. A La Spezia, dov’è nato 45 anni fa, è diventato segretario provinciale dei giovani comunisti a vent’anni, nel 1989, l’anno della caduta del muro di Berlino. Dopo il cambio di nome del Pci, ha proseguito la carriera nel Pds, poi nei Ds e nel Pd. Passato da responsabilità locali a nazionali, ha ricoperto incarichi importanti con tutti i segretari. Già portavoce del partito con Veltroni e Franceschini, ora fa parte della corrente post-dalemiana dei Giovani turchi. È entrato a Montecitorio nel 2006. Nel governo Letta era ministro dell’Ambiente.
↑ Il ritorno di un politico al ministero che fu di Palmiro Togliatti, dopo che le ultime voci indicavano con insistenza un magistrato, può essere un vantaggio per riprendere la strada delle riforme. In qualità di ex responsabile Giustizia del Pd conosce la materia, nonché le ragioni del conflitto che in questi anni hanno bloccato ogni ipotesi di riforma efficace. Le sue capacità di mediazione potrebbero aiutarlo a impostare un lavoro proficuo.
↓ Nel periodo in cui s’è occupato di giustizia non ha lasciato segni particolari. Il più noto è l’esposizione al berlusconiano Il Foglio di un suo programma che destò più scalpore per il giornale sul quale fu pubblicato che per i contenuti. Possibile che sospetti e scetticismi di allora tornino oggi, complicando il dialogo con parte della magistratura e del centrosinistra. E magari con chi pretendesse, sul fronte opposto, chissà che cosa.
CdS