Mauro Baudino, La Stampa 22/2/2014, 22 febbraio 2014
POLITICO E ROMANZIERE IL DOPPIO FRANCESCHINI
Con la sua quarta prova narrativa, due anni fa, aveva dato un avviso che sta fra Borges e l’amato Pessoa: «Non cercate collegamenti con il politico. Sono un caso rarissimo di omonimia con somiglianza fisica». E va detto che Dario Franceschini ha sempre tenuto molto a separare le due vite, il che non solo non è facile, ma in passato a qualcuno è costato anche caro. Non in questo caso.
I suoi libri, a volte stralunati e persino provocatori, non sono mai diventati vere armi nelle mani degli avversari. Nemmeno l’ultimo, appunto «Mestieri immateriali di Sebastiano Delgado» (Bompiani) dove la vena fantastica e ironica si spinge a disegnare un arco di attività che potrebbero far pensare al Parlamento e a tutto ciò che ruota intorno nello specchio deformante dell’antipolitica. Sebastiano Delgado mette infatti a disposizione strani servizi: «dormitrici», «sbadanti», «ballisti», «silenti» e via procedendo per «pranzisti» o «tramontisti». Il Franceschini scrittore guarda a spiriti acri e ribelli, magari un Roberto Bolano, certamente uno Zavattini. Il suo sosia politico è come tale navigatissimo, conosce i ministeri e le segreterie di partito, piazze e liturgie. Ora però la possibilità che i due si incontrino diventa altissima: al ministero per i Beni Culturali bisognerà, tra le altre cose, occuparsi della lettura, che nel nostro Paese com’è noto langue; dell’editoria, che non se la passa molto bene; delle librerie, che stanno peggio di tutti.
Il ministro, come romanziere, non è un best seller, ma ha sempre avuto un buon successo di critica, è stato tradotto in Francia, ha lettori fedeli. I suoi romanzi sono privi di perbenismi: «Nelle vene dell’acqua d’argento», quello d’esordio, parla di un Paese dove tutti hanno perduto la memoria e di una donna cannone; «La follia improvvisa di Ignazio Rando» mette in scena una ribellione zeppa di sogni; «Daccapo» è il viaggio di un figlio alla ricerca del padre, della sua memoria, fra le prostitute degli Anni Trenta.
In occasione dell’uscita, nel 2011, Jovanotti definì l’autore «un visionario». Come scrittore, non come politico. Ora che cosa possa succedere se i sosia omonimi si dovessero incrociare al Ministero non è dato sapere. Nel caso del «Visconte dimezzato» (ricordate, il racconto di Calvino), quando le due metà di Medardo di Torralba incrociarono le spade per il duello finale, fu un’apoteosi.