varie, 24 febbraio 2014
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 24 FEBBRAIO 2014
Matteo Renzi ha formato un governo che può vantare molti record. È il governo più giovane della storia italiana, con un’età media di 47 anni; è composto da 16 ministri (solo il De Gasperi III ne aveva di meno, 15, ma durò solo 119 giorni, dal 2 febbraio al 1° giugno 1947); è composto per metà da donne [1].
Il ministro più vecchio è Pier Carlo Padoan, 64 anni; il più giovane Maria Elena Boschi, 33 [2].
A seguire l’elenco seguendo il criterio donne/uomo. Esteri, Federia Mogherini. Difesa, Roberta Pinotti. Sviluppo economico, Federica Guidi. Istruzione, Stefania Giannini. Salute, Beatrice Lorenzin. Senza portafoglio, Maria Elena Boschi (Rapporti con il Parlamento); Marianna Madia, (Semplificazione della Pubblica Amministrazione); Maria Carmela Lanzetta (Affari regionali). Interni, Angelino Alfano. Giustizia, Andrea Orlando. Economia, Pier Carlo Padoan. Politiche agricole, Maurizio Martina. Ambiente, Gianluca Galletti. Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi. Lavoro e Politiche sociali, Giuliano Poletti. Cultura, Dario Franceschini. Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio [1].
Secondo gli auspici del premier, il Renzi I ha come orizzonte il 2018, ovvero la scadenza naturale della legislatura, con l’obiettivo di «riforme strutturali in tempi brevi». Sabato si è svolto il giuramento (tutti in abito scuro, tranne Boschi in blu e Mogherini in rosa) e il primo Consiglio dei ministri, oggi è il turno della fiducia alla Camera e domani al Senato [2].
«Renzi va al governo in modo vecchio. Non con un voto popolare, ma con una manovra interna a quel Palazzo contro cui si era scagliato con parole e toni non così diversi da quelli di Grillo. Per redimersi, non potendo avere il braccio destro Delrio al ministero dell’Economia, dovendo accontentare gli alleati e le correnti avverse del suo stesso partito, ha puntato sul ricambio generazionale per marcare la propria impronta. Da sola, però, l’età non basta. Essere giovani non è un difetto, come appare talora in Italia; ma neppure un merito» (Aldo Cazzullo) [3].
Il premier ha dovuto cedere su due punti. Antonio Polito: «Il primo è Alfano, il dioscuro di Letta: resta nel governo che si voleva delettizzare, seppure perdendo i galloni di vice; il secondo è il Tesoro, dove non va un uomo di Renzi, ma un uomo delle istituzioni finanziarie, quel Padoan la cui carriera all’estero è stata considerata indispensabile, come fu con Grilli e Saccomanni, per sedere ai tavoli dove si decide e si parla inglese» [4].
Padoan, romano, professore universitario di Economia, è da una vita all’estero, al Fondo monetario, alla Banca Mondiale, al Collegio d’Europa di Bruges, alle Università di Tokyo e di La Plata in Argentina e poi consulente alla Ue e alla Bce. Elena Polidori: «Proprio in virtù di queste sue esperienze, nel ’98 D’Alema lo aveva voluto con sé a Palazzo Chigi come consigliere per gli affari economici internazionali. Anche con Amato ha collaborato. Non da oggi mostra una preferenza per la crescita piuttosto che una preoccupazione eccessiva per il debito, dal momento che l’Italia ha un certo surplus primario (al netto degli interessi) su cui può contare» [5].
Rischiosa e molto criticata la scelta di cambiare il ministro degli Esteri nel pieno della crisi dei marò e alla vigilia del semestre europeo, sostituendo una delle italiane più note nel mondo, Emma Bonino, con la semisconosciuta Federica Mogherini.
Mogherini, quarant’anni, romana, democratica di fede franceschiniana, ha un curriculum di incarichi legati agli esteri dentro al Pd e a Montecitorio, un Erasmus, un’esperienza da tecnica all’Europarlamento. Ha buoni rapporti in ambito Nato, dove finora ha presieduto la delegazione italiana all’Assemblea parlamentare dell’Alleanza atlantica, ma una scarsa esperienza internazionale di alto livello [6].
Scrive Luca Sofri: «Sembra che Renzi si sia inserito in un deprecabile solco della politica italiana e della politica di sinistra. Ovvero dare peso al potere contrattuale degli apparati politici piuttosto che alle qualità individuali: e ottenere che ne faccia le spese Emma Bonino, che non conta niente, non la protegge nessuno e non serve a ottenere niente. In questo caso, dovendo Renzi mostrare rinnovamento rispetto al governo Letta non ha però rimpiazzato tre ministri alfaniani; né ha rimpiazzato tre ministri del Pd, che pure si dimostrano così indispensabili da essere stati rimescolati in ministeri a piacere. Ha invece scaricato quel che era facile scaricare, e che il Pd va scaricando da anni in mille diverse repliche: una tradizione. Una vigliaccheria, in senso tecnico» [7].
All’Istruzione è andata Stefania Giannini, lucchese, classe 1960. Già rettore dell’ Università per stranieri di Perugia, eletta al Senato nel febbraio 2013 con la lista Monti, dal novembre scorso è segretario di Scelta civica. «Linguista e glottologa, scrive libri senz’altro appassionanti con titoli così Tra grammatica e pragmatica: la geminazione consonantica in latino o così La fonologia dell’interlingua. Principi e metodi di analisi» (Mattia Feltri) [8]. «Per questa sua indubbia formazione universitaria, rischia di sapere ben poco di scuola primaria nonché di secondaria inferiore e superiore. Cioè gli anelli più deboli e impoveriti dell’istruzione italiana» (Paolo Conti) [9].
Trentatré anni, occhi bassi e portamento ancillare, nipote di Titta Madia (avvocato tra gli altri di Clemente Mastella), Marianna Madia dopo la laurea cominciò a lavorare con Minoli in tv. Andrea Malaguti: «Quando nel 2008 Veltroni ringiovanì i ranghi del partito, la presentò come una esperta economista. In realtà era laureata in Scienze Politiche. Lei sussurrò un indimenticabile quanto infelice: “Porto in dote la mia straordinaria inesperienza”. A Montecitorio andò a sedersi di fianco a D’Alema. Poi si fidanzò con il figlio del presidente della Repubblica, Giulio Napolitano, facendo dire ai suoi detrattori: mai visto una tanto raccomandata. Nei primi giorni da responsabile del lavoro del Pd confuse la sede del ministero delle Attività produttive con quella del Lavoro» [10].
Maria Elena Boschi, avvocatessa, trentatreenne, natali a Montevarchi (ma originaria di Laterina), figlia di un dirigente della Coldiretti e del vicesindaco del suo Paese, occhi che hanno fatto dire a Silvio Berlusconi: «lei è troppo bella per essere comunista» («presidente, i comunisti non esistono più» rispose la ministra). Malaguti: «Ha dato spesso buona prova di sé negli incontri politici – a cominciare da quelli con Verdini – e in quelli televisivi, dove evita di perdersi in analisi sofisticate ma dà l’impressione di essere più intelligente perché usa la logica dove gli altri ricorrono al buonsenso lavoro» [10].
Maria Carmela Lanzetta, 56 anni, ministro degli Affari Regionali, gestisce la farmacia di famiglia a Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, paesino di cui è stata sindaco fino al luglio scorso. Una donna simbolo dell’antimafia calabrese, da anni sotto scorta, che si era dimessa in polemica con le istituzioni [11]. «Non si è mai seduta al tavolo della grande politica. E nel suo nuovo ruolo dovrà anche essere capace di accettare qualche compromesso, esercizio verso il quale non si è fin qui dimostrata molto incline» [12].
La voleva Silvio Berlusconi come volto nuovo della rinata Forza Italia. Invece Federica Guidi è finita al ministero dello Sviluppo Economico, prima donna a guidare questo dicastero. «Modenese, classe 1969, laurea in Giurisprudenza, il padre Guidalberto è patron della bolognese Ducati Energia di cui lei è vicepresidente. Conosce Renzi da tempo, è stata presidente dei Giovani di Confindustria, fa parte del gruppo italiano della Commissione Trilaterale, think tank fondato da David Rockefeller. Sposata con un figlio di poco più di due anni, vive a Montale di Castelnuovo Rangone, nella campagna tra Modena e Bologna» [13].
Roberta Pinotti è la prima donna al ministero della Difesa. Genovese, laureata in Lettere moderne, ha iniziato la carriera politica negli anni ’90 come consigliere di circoscrizione del Pci. In Parlamento dal 2011, ora al Senato. Accreditata da sempre come esperta di mondo militare, Legion d’Onore dell’Ambasciata francese per la sua battaglia contro le mine antiuomo, già sottosegretario con Mario Mauro [14].
Al ministero della Giustizia sembrava dovesse andare Nicola Grattieri procuratore aggiunto di Reggio Calabria, ma la nomina è stata bloccata direttamente da Napolitano. Al suo posto è stato scelto invece Andrea Orlando, mancato dottore in Legge, ministro dell’Ambiente del governo Letta, uomo del Pd che non scontenta il centro-destra. Sul Foglio scrisse la sua proposta di riforma da condividere con il Pdl. Proponeva una sorta di processo breve e ipotizzato la fine dell’obbligatorietà dell’azione penale, tanto desiderata dai berlusconiani [15].
«In un governo dominato dagli emiliani (ci sono praticamente tutti tranne Prodi e Bersani) spiccano Gianluca Galletti – ministro bolognese dell’Ambiente in qualità di esperto di raccolta differenziata dei voti di Casini – e Giuliano Poletti, l’uomo delle Cooperative Rosse. Ci voleva il democristiano Renzi per portare al ministero del lavoro il simbolo del capitalismo comunista, detto “Falce e Carrello” come da titolo del libro di Caprotti, patron avvelenato dei supermercati Esselunga. Per Berlusconi è come se la Bocassini fosse diventata segretaria generale dell’Onu» (Mattia Feltri) [8].
Maurizio Martina, 35 anni, bergamasco e tifosissimo dell’Atalanta. «Ha fatto tutta la trafila nella sinistra giovanile, è stato consigliere al Pirellone e sottosegretario all’Agricoltura nel precedente governo Letta. Ora viene promosso ministro e certamente vanterà i suoi nonni contadini» [16].
Molto critico con le scelte di Renzo Marco Travaglio: «Alfano, che Renzi voleva cacciare dal Viminale per l’affare Shalabayeva, resta a pie’ fermo al Viminale. Lupi, che persino il renziano De Luca accusava di farsi gli affari suoi alle Infrastrutture, rimane imbullonato dov’è. La catastrofe Lorenzin farà altri danni alla Salute. Il multiuso Franceschini passa dai Rapporti col Parlamento alla Cultura. Un po’ di fumo negli occhi con la sindaca antimafia Lanzetta alle Regioni, poi due figuranti come Martina all’Agricoltura e il casiniano Galletti che, essendo commercialista, va all’Ambiente» [17].
Il Direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano: «Non ci resta che sperare di essere clamorosamente smentiti dai fatti. La qualità complessiva della squadra di governo, con buone eccezioni a partire dal ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, il metodo e le modalità che ne hanno determinato le scelte lasciano perplessi e ci fanno interrogare sulla (piena) consapevolezza della gravità del momento. Non basta avere la testa e i piedi piantati nel nuovo mondo per essere all’altezza della sfida che l’Italia deve affrontare. Da De Gasperi a Beautiful la caduta può essere elegante, ma rovinosa» [18].
Note: [1] tutti i giornali del 22/2; Alessandro Trocino, Corriere della Sera 22/2; [3] Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 22/2; [4] Antonio Polito, Corriere della Sera 22/2; [5] Elena Polidori, la Repubblica 22/2; [6] Paolo Valentino, Corriere della Sera 22/2; [7] Luca Sofri, il Post 21/2; [8] Mattia Feltri, La Stampa 22/2; [9] Paolo Conti, Corriere della Sera 22/2; [10] Andrea Malaguti, La Stampa 22/2; [11] Giuseppe Baldassarro, la Repubblica 22/2; [12] Giusi Fasano, Corriere della Sera 22/2; [13] Roberto Mania, la Repubblica 22/2; [14] Alessandra Longo, la Repubblica 22/2; [15] Antonella Mascali, il Fatto Quotidiano 22/2; [16] Francesco Bonazzi, Dagospia 22/2; [17] Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 22/2; [18] Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore 22/2.