Federico Rampini, la Repubblica 21/2/2014, 21 febbraio 2014
WHAT’SUP
«What’s up?» Che c’è di nuovo? È la domanda più diffusa tra gli adolescenti americani. C’è un intero mondo nuovo, lo ha capito WhatsApp (la pronuncia è quasi identica). È un mondo dove questa start-up da 55 dipendenti vale 19 miliardi: 345 milioni di dollari per dipendente. Dove questa micro-impresa fondata da un ingegnere ucraino nella Silicon Valley ha raggiunto 450 milioni di utenti in soli 5 anni di vita. Con un raddoppio del suo pubblico concentrato negli ultimi nove mesi.
Quel che si dice un’accelerazione esponenziale. I suoi abbonati si sono scambiati 7.000 miliardi di messaggi solo nel 2013 (no, non è un refuso, non ci sono tre zeri di troppo). È un mondo che sta travolgendo i vecchi giganti delle telecom, dinosauri spiazzati dall’evoluzione della specie: le nostre comunicazioni ormai viaggiano su infrastrutture parallele e alternative, spesso gratuite, da Skype (controllata da Microsoft) a Twitter, da Google a Facebook. Quest’ultima ha firmato l’acquisizione di WhatsApp, che lascia la stampa americana - pur abituata agli eccessi - a corto di aggettivi: «Sbalorditivo, stupefacente» ricorrono nelle prime pagine dei giornali Usa.
Il fondatore e chief executive di Facebook, Mark Zuckerberg, è convinto del fatto suo, risponde tranquillo a chi lo accusa di avere strapagato la sua ultima acquisizione: «WhatsApp aggiunge un milione di utenti nuovi ogni 24 ore - dice Zuckerberg - e di questo passo il traguardo di un miliardo è alla sua portata. Un servizio che raggiunge simili dimensioni, ha un valore incredibile».
Per fare il confronto con un altro social network: Twitter ha "solo" 240 milioni di utilizzatori eppure in Borsa vale 30 miliardi. Lo stesso Facebook nei suoi primi quattro anni di vita raggiunse a stento 150 milioni di persone, un terzo del pubblico di WhatsApp.
La formula del successo dietro WhatsApp? È un’applicazione per telefonini che consente di mandare sms, aprire una conversazione permanente (stile chatroom), allegare ai messaggi delle immagini, foto, video e altro. Ha il vantaggio tecnologico - rispetto a un concorrente come iMessage di Apple - di essere compatibile con qualsiasi software e quindi con tutte le marche di smartphone.
E’ praticamente gratis: il "canone" consiste in un pagamento forfettario di 99 centesimi... all’anno. Il boom di WhatsApp, a differenza di tutti i social network come Facebook e Twitter, è trainato dall’estero prima ancora che dal mercato americano. Questa applicazione infatti è ancora più popolare in Europa, in India e in altri mercati emergenti. Ha un’ulteriore peculiarità, legata alle origini del suo fondatore Jan Koum.
Questo ingegnere di 38 anni, già dipendente di Yahoo, è un ebreo ucraino nato in un villaggio alla periferia di Kiev. Koum è vissuto in Ucraina fino al 1992, la sua infanzia e adolescenza rimangono segnate dal comunismo sovietico. Cresciuto in uno Stato poliziesco, Koum ha una cultura libertaria. Perciò nel progettare WhatsApp ha dedicato una grande attenzione alla tutela della privacy degli utenti.
Nell’èra del Datagate, questo gli dà una marcia in più rispetto ad aziende molto più grandi della sua. Per esempio, WhatsApp dopo avere trasmesso il messaggio al destinatario, lo cancella dalla memoria dei suoi "server". E’ molto più difficile per la National Security Agency (Nsa), o per un hacker malintenzionato, rintracciare queste comunicazioni. La privacy può essere, più banalmente, una protezione contro l’eccessiva curiosità dei genitori. E non a caso WhatsApp ha avuto come primo mercato quello degli adolescenti (un po’ come Instagram, che Facebook acquistò per oltre un miliardo nel 2012, e che prevede l’auto-distruzione delle foto appena trasmesse).
Più in generale WhatsApp ha anticipato e cavalcato una nuova tendenza nella comunicazione: cresce il numero di coloro che preferiscono usare una messaggeria "mirata", ad personam, confidenziale, anziché spargere le proprie comunicazioni urbi et orbi attraverso canali più aperti come Facebook e Twitter.
Tutti questi ingredienti hanno aumentato l’attrazione di WhatsApp per Facebook. I punti deboli del social network di Zuckerberg sono i punti di forza di WhatsApp. Facebook dopo avere raggiunto in dieci anni di vita 1,2 miliardi di utenti a livello mondiale, oggi teme di subire un rallentamento fisiologico nella propria espansione; e Zuckerberg teme particolarmente una disaffezione del pubblico più giovane.
Sul fronte tecnologico, poi, WhatsApp nasce per lo smartphone. Ed anche gli utenti di Facebook si stanno spostando in massa verso questo mezzo, usano sempre meno il computer e sempre più il telefonino. Resta l’interrogativo sul modello di business, sulla sostenibilità economica. Da dove può venire il guadagno, se WhatsApp è sostanzialmente gratis? Ma questo è un interrogativo "genetico", al quale la Silicon Valley è ormai abituata.
Anche Facebook e Twitter all’origine sembravano dei business senza profitto, anche loro gratuiti nell’accesso. Prima di loro, Google offrì un motore di ricerca dalle potenzialità infinite, apparentemente gratis anche quello. In quasi tutti questi precedenti, alla fine un business sostanziale è arrivato sotto forma di inserzioni pubblicitarie, e tutto il marketing collegato alla vendita di informazioni sugli utenti. Facebook l’anno scorso ha avuto un fatturato di quasi 8 miliardi, per la maggior parte dalla pubblicità.
Koum ha sempre escluso l’ipotesi di inserire pubblicità in WhatsApp, fino a ieri insisteva sul fatto che l’attuale modello basato sui 99 centesimi annui per utente gli sta benissimo. «La monetizzazione non è una priorità per noi», ha detto. Ma questo è un déjà- vu: anche Google, anche Facebook, alle origini giuravano che non avrebbero fatto pubblicità... Lo stesso Koum fino a pochi mesi fa escludeva di poter vendere la sua azienda. Quei 19 miliardi di Zuckerberg evidentemente sono bastati a fargli cambiare idea, smentendo se stesso in poco tempo.
Le voci scettiche non mancano neppure qui negli Stati Uniti, pur abituati a un’escalation di acquisizioni dai prezzi stratosferici. Dopo gli 8,5 miliardi pagati da Microsoft per Skype, il prezzo doppio che Zuckerberg ha messo sul tavolo per WhatsApp fa sospettare che siamo di fronte a una nuova bolla speculativa. «La Silicon Valley dà i numeri, fa la stupida», è il titolo di Usa Today.
La memoria corre all’infausto precedente dell’acquisizione di Time Warner da parte di Aol per 164 miliardi il 10 gennaio 2000. Due mesi dopo la bolla della prima New Economy esplodeva malamente e il Nasdaq iniziava la sua discesa agli inferi. E tuttavia le bolle fanno parte del Dna della Silicon Valley, per quanto pericolose sono il lubrificante della cultura dell’innovazione.
Dietro il maxi-evento Facebook-WhatsApp s’intravvedono i contorni di una di quelle rivoluzioni tecnologiche e di costume che la Silicon Valley impone al mondo intero. A una velocità impressionante assistiamo a cambiamenti di piattaforme tecnologiche che segnano la scomparsa di abitudini consolidate, e con esse il declino di intere industrie. Le telecom, un tempo grandi utility regolate o addirittura possedute dallo Stato, diventano marginali come gestori delle comunicazioni.
Il mondo intero sta passando ad altri metodi, altri sistemi, catturati da siti sociali. Un’azienda neonata, un virgulto di cinque anni come WhatsApp, con 55 dipendenti e un mini-ufficio a Mountain View in California, ha più utenti di tutte le compagnie telefoniche dell’Europa occidentale messe assieme. Il prezzo pagato da Zuckerberg, che equivale a 45 dollari per ogni utente di WhatsApp, forse appare meno stravagante se lo si giudica sotto questa luce. E’ un paradigma mondiale, il modello delle comunicazioni, che sta cambiando sotto i nostri occhi, e chi ne intuisce l’approdo finale avrà davvero una marcia in più.
2. MICHAEL WOLFF: ‘IL PREZZO NON È ESAGERATO MA LA FUSIONE PUÒ FARE FLOP’
Arturo Zampaglione per ‘La Repubblica’
Vale davvero 19 miliardi di dollari? E’ ragionevole che una società con appena quattro anni di vita, 52 dipendenti e un fatturato di 50 milioni di dollari venga comprata a un prezzo ben superiore alla capitalizzazione di borsa dell’intero gruppo Fiat Chrysler? O non si tratta piuttosto di un caso di esuberanza giovanile destinato a gonfiare l’ennesima bolla speculativa?
All’indomani della conquista di WhatsApp, società leader della messaggeria istantanea, da parte del ventinovenne Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, i guru del settore hi tech e gli analisti di Wall Street si interrogano sulla logica (e sui rischi) dell’operazione. Da parte sua Michael Wolff non ha dubbi.
«Mega-acquisizioni del genere - dice a Repubblica il biografo di Rupert Murdoch, che è tra i maggiori esperti americani di new media - sono essenziali al modello di business su cui fanno leva le grandi piattaforme che dominano il web. Tutte puntano alla crescita attraverso aziende esterne, anche per impedire che esse finiscano in mano ai concorrenti. E tutte si ripromettono di integrare con saggezza le nuove entità: ma non sempre riescano a vincere la scommessa».
Wolff, cominciamo da una domanda venale: a suo avviso 19 miliardi per WhatsApp sono troppi?
«Ad ogni annuncio di questi accordi miliardari, c’è chi grida allo scandalo. La cifra pagata sembra alta, ma di sicuro Zuckerberg si sarà fatto i conti con attenzione: ad esempio avrà messo in relazione il prezzo pagato per ognuno dei 450milioni di utenti WhatsApp, che è di circa 42 dollari, rispetto ai 170 dollari che valgono a testa, secondo Wall Street, il miliardo e 200milioni di utenti Facebook e i 212 dollari degli utenti di Twitter.
È comunque difficile, se non impossibile, prevedere il successo di operazioni simili: da un lato sono indispensabili per la sopravvivenza delle grandi piattaforme; dall’altro rischiano di fare affogare i protagonisti, come è spesso accaduto».
Si riferisce a qualcuno in particolare? Forse alla mossa temeraria di Aol quando comprò TimeWarner all’inizio del millennio? Qualcuno la definì la peggiore fusione della storia del capitalismo.
«Nell’universo del web abbiamo visto spegnersi o offuscarsi tante stelle considerate invincibili. Penso al tramonto di Netscape, ai tanti passi falsi della Microsoft di Steve Ballmer, agli sbagli di Yahoo. Ma ha ragione lei: la fusione Aol-TimeWarner finì per essere una delle cause e, assieme, la vittima più eccellente della bolla della new economy».
Nel 2001, quando Steve Case, artefice del miracolo Aol, si comprò TimeWarner per 164 miliardi di dollari, pensava di aver creato il più grande gruppo hi tech e multimediale del mondo. Invece?
«Ha solo contributo alla bolla e, al suo scoppio, ne ha pagato le conseguenze: il gruppo si è disintegrato»
Se non ci fosse stato Mark Zuckerberg, chi altro avrebbe speso 19 miliardi per mettere le mani su WhatsApp?
«Ripeto: la cifra sembra alta, ma non è certo fuori della portata di altre "piattaforme dominanti" come Google o Microsoft. E proprio Google, che finora ha fatto tutte acquisizioni azzeccate, a cominciare da YouTube e per finire con l’ultima, la Nest Labs, conferma il modello di crescita seguito dai protagonisti del settore»
Su che cosa scommette Zuckerberg?
«Sul fatto che WhatsApp possa aprire a Facebook nuovi campi, come quelli dei mezzi di pagamento o della distribuzione delle App, e al tempo stesso possa farle superare i ritardi nella telefonia mobile. E’ vero che gli ultimi dati trimestrali hanno visto un recupero del fatturato ottenuto con gli smartphone, ma non basta».
time warner cabletime warner cable
Perché Facebook e gli altri concorrenti vanno sempre alla ricerca di occasioni esterne invece di sviluppare nuove iniziative dall’interno? Ne avrebbero sicuramente i mezzi...
«Sì, ma le tecnologie sono sempre in rapidissima evoluzione e spesso si rivelano più produttive le start-up che non i gruppi consolidati».
A suo avviso l’accordo Facebook- WhatsApp avrà conseguenze nei rapporti tra i media tradizionali e i nuovi mezzi digitali?
«Non in modo diretto, è solo una conferma delle enormi trasformazioni in atto. Ad esempio evidenzia l’entusiasmo dei mercati finanziari per le società a rapida evoluzione tecnologica, mentre i media tradizionali continuano a battere la fiacca.
Mette anche in risalto il cambiamento demografico: sono le giovani generazioni a usare a tutto spiano la messaggeria istantanea, mentre sono le vecchie a comprare ancora i quotidiani di carta».
Michael WolffMichael Wolff
Resta un dubbio: ce la farà Zuckerberg, dopo aver sborsato 19 miliardi, a sfruttare WhatsApp dal punto di vista degli incassi pubblicitari?
«La vera sfida è proprio quella degli introiti. Certo avrà una base immensa: 2 miliardi di utenti tra Facebook, Instagram e WhatsApp. Ma come tradurre questi numeri in un aumento del fatturato? Per il momento Zuckerberg si gode la notorietà e i miliardi. E a breve termine non penso che il suo impero possa barcollare. Ma per il più lungo periodo sono pessimista: temo che il gruppo Facebook avrà problemi quasi irrisolvibili sul fronte delle entrate»
3. LA LEZIONE DI APPLE, YAHOO, MICROSOFT
Bruno Ruffilli per ‘La Stampa’
Come Pacman: il pupazzetto giallo raccoglieva palline, frutta, fantasmi colorati, le aziende grandi crescono mangiando altre più piccole. Si chiamano acquisizioni, e quella di Facebook è solo l’ultima.
L’azienda più potente del mondo tecnologico ha riserve di cassa con cui potrebbe comprare intere nazioni, eppure va avanti a piccoli passi, preferendo puntare su start-up innovative. Qualche esempio degli ultimi anni: Autentech (da cui è nato il sensore per impronte digitali dell’iPhone 5s), Siri (l’assistente vocale di iPhone e iPad), FingerWorks (il Multitouch di iOS), Lala (streaming musicale, per iTunes radio), Soundjam (iTunes), Placebase (mappe), P.A Semi (semiconduttori). Tutti nomi sconosciuti, tutte tecnologie e conoscenze utilizzate dopo qualche anno. L’acquisizione più rilevante, però, risale al 1998: 404 milioni di dollari per Next, l’azienda che Steve Jobs fondò quando fu cacciato da Cupertino; l’operazione segnò il suo ritorno e salvò Apple dal declino.
GLI ALTRI
Yahoo non sempre ha avuto fortuna: l’avventura di Geocities, ad esempio, è costata 3,6 miliardi di dollari e dieci anni di agonia, fino alla chiusura del servizio nel 2009. Meglio è andata con Tumblr, la piattaforma di micro-blog pagata circa un miliardo: in un anno l’attività degli utenti è aumentata del 50 per cento, e quella di chi usa tablet e smartphone addirittura del 250 per cento.
E se il servizio di foto Flickr tiene ancora bene, interessanti novità si aspettano da Aviate, un’app che fa da assistente personale. Summly ha fruttato 30 milioni di dollari al diciassettenne programmatore Nick D’Aloisio e si è trasformata in Yahoo News Digest, un’app che riassume automaticamente il meglio dell’informazione sul web.
ACCOPPIAMENTI GIUDIZIOSI
Nel 2002 eBay pagò Paypal 1,5 miliardi di dollari: l’obiettivo era creare una piattaforma integrata di commercio e pagamento. Riuscito solo in parte visto che ad esempio, Paypal non è usato da Amazon, il più grande sito di e-commerce al mondo. Il Ceo Jeff Bezos ha acquisito negli anni Imdb (internet Movie database), CDNow, Audible, Zappos per migliorare e ampliare l’offerta dello store. Nella stessa ottica Kiva (775 milioni di dollari), che produce robot per la logistica e i magazzini. Qualche indicazione sulle prossime mosse di Amazon può arrivare dalla recente acquisizione del quotidiano Washington Post (250 milioni) e di Double Helix (videogiochi).
NUOVI MERCATI
Molto attiva anche Microsoft, con 160 acquisizioni negli ultimi quindici anni: da Hotmail, pagata 500 milioni di dollari nel 1997), a Skype (8,5 miliardi di dollari nel 2011). L’ultima è quella che ha fatto più rumore: Nokia, pagata 7,2 miliardi di dollari. Perché il futuro è mobile, come ha dimostrato Google nel 2011 acquistando Motorola (appena rivenduta a Lenovo, ma senza i brevetti che andranno ad alimentare il sistema operativo Android).
O Waze, un ibrido tra social network e software di navigazione GPS, costato 966 milioni di dollari l’anno scorso. Nel 2006 YouTube passò a Mountain View per 1,65 miliardi di dollari, la metà di Nest, il termostato intelligente acquistato qualche settimana fa, che potrebbe aprire per Google le porte della domotica. L’ultimo acquisto? DeepMind, un sistema di intelligenza artificiale.
ESSERE COOL
Pare che Google avesse offerto dieci miliardi di dollari per WhatsApp, senza successo. Ci è riuscito Zuckerberg, davanti a un piatto di fragole al cioccolato, impegnando quasi un terzo della liquidità di Facebook. Ha pagato 19 miliardi di dollari, non potrà inserire pubblicità, ma ora può contare su 450 milioni di utenti che si aggiungono al miliardo e 230 milioni del più grande social network del mondo.
Il vero segreto dell’affare è però in un altro numero: il 70 per cento degli iscritti a WhatsApp usa il servizio ogni giorno. Molti sono giovanissimi, non andrebbero mai in un locale frequentato dai loro genitori e insegnanti, e per lo stesso motivo snobbano Facebook: non è più cool. WhatsApp sì.