Valerio Cappelli, Corriere della Sera 21/2/2014, 21 febbraio 2014
SOL, VIOLONCELLISTA CHE INCANTA: LA MUSICA È ANCHE SEDUZIONE
«Avevo otto anni quando papà, per le mie lezioni di musica, mi portava avanti e indietro da Cordoba a Buenos Aires: ottocento chilometri in automobile», racconta Sol Gabetta. Una bel giro ogni volta...«Noi abbiamo un altro concetto delle distanze in Argentina. Ma presto andai a studiare in Europa». A 32 anni, è una violoncellista molto famosa e apprezzata, a breve il debutto con Rattle e i Berliner. Papa Francesco alcuni giorni fa l’ha ricevuta in Vaticano: «Mi ha detto in spagnolo di pregare per lui, io gli ho risposto se poteva pregare per me. Allora ha concluso: va bene, allora preghiamo insieme l’uno per l’altra. Gli ho dato un mio cd ma non aveva capito che era mio, era interessato, ma non credo che la musica sia in cima ai suoi interessi».
Dal primo al 3 marzo, Sol Gabetta è in concerto a Varese, Reggio Emilia e Ravenna. Il direttore Antonio Pappano, alla fine della recente trionfale tournée di Santa Cecilia in Germania, ha detto alla sua orchestra che i quattro sold out si sono avuti anche grazie a lei. Sul palco, Gabetta ha un modo di porsi teatrale, a Monaco aveva una seduzione intellettuale e un gioco di sguardi ora verso il podio di Pappano ora verso il primo violino. Lei non si tira indietro: «Non sempre si riesce a trovare questo feeling, i concerti li vedo proprio come una trilogia tra orchestra, direttore e solista. La teatralità? Me lo dice sempre mia madre».
Franco-russa con origini italiane («il mio carattere riflette il mio sangue»), parla sei lingue, ha avuto una nomination ai Grammy (gli Oscar della musica) e diversi compositori scrivono per lei, ha un violoncello Guadagnini del 1759 «dal suono purissimo», conduce un programma tv in Germania, organizza un festival in Svizzera, dove vive. E quando non è solista, suona nell’ensemble familiare. «Ho cominciato a studiare il violoncello perché volevo uno strumento più grande di quello che suonava mio fratello violinista». Ha un repertorio dal barocco al contemporaneo; non ha ancora avvicinato le Suites di Bach: «Le suono solo in privato, non mi sento pronta».
In questo periodo il suo pane è il Concerto di Elgar, considerato l’addio tardivo al Romanticismo, «dove si riverberano gli echi della Prima guerra mondiale e il violoncello è una voce che chiede la libertà mentre l’orchestra prende un’altra strada, qui c’è un fortissimo e lì c’è un doppio pianissimo ed ecco che si sprigiona la forza di questa musica che parla direttamente al cuore, una volontà di stare assieme ma non possiamo, come due metà di una stessa persona». Nei bis spesso propone un pezzo del lettone Peteris Vasks in cui, in maniera insolita, suona e canta, fa dei vocalizzi. «A volte lo esegue un uomo in falsetto, il violoncello è lo strumento più vicino alla voce umana tanto che il pubblico non si rende subito conto se sto cantando o suonando. Vasks mi ha dedicato un Concerto che ho inciso. C’è un rapporto fisico ancora più stretto di quello che i violinisti hanno con il loro strumento, infatti lo abbracciamo, è come un’appendice del nostro corpo».
Rostropovich è stato un punto di riferimento per lei? «Lui è stato un mondo: ha fatto allargare il nostro repertorio, ha avuto per moglie una cantante come Galina Visnevskaja, era impegnato politicamente, ha suonato sotto il Muro di Berlino...».
Sol, chiamarsi col nome di una nota sembra una predestinazione. «Invece non ha niente a che vedere con la musica». Dietro c’è un dramma della sua famiglia: «Sono l’ultima di quattro fratelli. Mia sorella, che ha 15 anni più di me, è autistica, l’iperattività è il problema maggiore, non può sedersi tre minuti di seguito, i miei genitori quando possono la portano ai miei concerti e la musica la tranquillizza. I miei hanno anche avuto due gemelli, che sono morti. Mia madre era sotto shock, a mio padre disse che non voleva che la famiglia finisse così. E sono nata io: Sol è il sole che rinasce dopo quella tragedia».
Valerio Cappelli