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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

LE BANCHE NELLA CRISI LA REGIA DELLA BANCA D’ITALIA


Il Governatore di Bankitalia Visco ipotizza, nel rispetto delle regole europee, il ricorso alla «bad bank» per raccogliere i crediti deteriorati degli istituti di credito italiani. È comodo e veloce togliere i crediti a rischio dal bilancio, metterli in un cassetto e migliorare i coefficienti patrimoniali. Il dubbio, è se poi, su quei crediti, sapientemente accantonati, gli strateghi del risparmio non inventino qualche bel prodotto finanziario da rifilarci...
Andrea Sillioni
a.sillioni@yahoo.it

La Banca d’Italia ha rivalutato le quote e la cosa sarebbe utile se fosse finita lì. Solo che oltre a rivalutare si è impegnata a riacquistare le azioni di tutte le banche (solo da Unicredit il 27%). Quindi dovremo sborsare fior di miliardi. Le banche pagano un miliardo di tasse e ne incassano dieci e si trovano rivalutato il capitale sociale senza chiedere un euro. Non vi sono passaggi di denaro e quindi la liquidità delle banche resta immutata, e con essa la possibilità di prestiti.
Lionello Leoni
lionello.leoni@alice.it

Cari lettori,
I vostri quesiti sono diversi, ma hanno due caratteristiche comuni: concernono entrambi la Banca d’Italia e trasudano diffidenza per la maggiore istituzione finanziaria nazionale. Siete autorizzati a «pensare male», beninteso, ma qualche informazione in più potrebbe servire a chiarire i termini della questione.
La «banca cattiva» è quella che viene creata per ospitare i prodotti “tossici” e i prestiti non più esigibili che appesantiscono il portafoglio di altri istituti di credito. Recentemente la formula è stata utilizzata da due Paesi, Irlanda e Spagna, che erano sull’orlo del precipizio, e ha dato, a quanto sembra, buoni risultati. In Spagna la banca cattiva è stata creata con capitali provenienti dallo Stato (il Fondo pubblico spagnolo per la ristrutturazione bancaria) e da altre banche interessate al risanamento dei conti pubblici del Paese. Con questo capitale la nuova banca ha comperato i prodotti tossici a prezzi di mercato (vale a dire fortemente scontati) e li ha trattati nel modo in cui i pompieri frugano tra le macerie di un casa bruciata per recuperare ciò che è ancora utilizzabile. In ultima analisi la banca cattiva serve a smaltire il debito distribuendo l’onere su un largo numero di soggetti, tutti egualmente interessati al buon esito della operazione. Nel frattempo le altre banche, alleggerite del fardello delle sofferenze, hanno ricominciato a prestare denaro nell’interesse dell’economia nazionale.
Quando ha rivalutato il suo capitale, la Banca d’Italia ha deciso che il numero delle azioni possedute dai singoli azionisti non possa superare il 3% e che ciascuno di essi debba conformarsi all’obbligo entro tre anni. Se alla scadenza l’operazione non sarà stata completata, Palazzo Koch potrà acquistare temporaneamente una parte delle quote per rimetterle sul mercato. Credo a questa promessa perché la Banca centrale ha nella operazione un duplice interesse. In primo luogo vuole sbarazzarsi di una legge che pesava sulla sua testa come una spada di Damocle: quella voluta da Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia, che prevedeva l’attribuzione del suo capitale allo Stato. In secondo luogo perché preferisce essere una public company, va a dire una società con un azionariato molto diffuso. A Palazzo Koch pensano, con ragione, che i manager sono tanto più forti quanto più i loro padroni sono numerosi.