Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 21/2/2014, 21 febbraio 2014
SOLDI AI PARTITI, ATTENTI AL TRUCCO
Può una macchina lanciata a pazza velocità bloccarsi con una sola frenata? No, rispondono i partiti. Ecco perché l’abolizione del finanziamento pubblico, votata ieri definitivamente, si prende tre anni di tempo. Tesi comprensibile. Le controindicazioni, però, sono diverse. Per non dire di certi dettagli piuttosto sospetti. Sui quali i grillini hanno dato fino all’ultimo battaglia.
Che la macchina dei soldi ai partiti, dopo l’abolizione decisa (inutilmente) dagli italiani nel referendum del 1993, avesse via via accelerato prendendo una velocità assurda è fuori discussione. Col trucco dei rimborsi delle spese elettorali le somme erano diventate spropositate. Stando a Roberto Perotti, della Bocconi, l’impennata finale fu nel 2008 (322 milioni), nel 2009 (268 milioni) ma soprattutto nel 2010 quando, a dispetto della crisi che già stava gettando nel panico milioni di italiani, le forze politiche si spartirono di soli rimborsi 369 milioni di euro.
A quel punto i partiti, mentre montava l’insofferenza dei cittadini che si sarebbe poi sfogata nel voto a Beppe Grillo, non avevano scelta. Piacesse o no, dovevano tagliare. Il processo di adeguamento alle decisioni di quel lontano referendum, dopo l’accelerazione di Mario Monti che aveva portato da 182 a 91 i milioni di euro distribuiti, si è (quasi) concluso ieri. Con un taglio del 25% il primo anno, del 50% il secondo e del 75% il terzo, si dovrebbe passare a un’altra forma di finanziamento. Quello volontario del «2 per mille» che i cittadini dovrebbero detrarre dalle tasse destinandolo a questo o quel partito. Il «quasi», però, è obbligatorio.
Certo, quella di ieri è una svolta attesa da anni. Evviva. Ma se anche fossero forzate le accuse di «legge truffa» lanciate non solo dai grillini ma anche dal professor Perotti, secondo il quale alla fine del percorso i soldi sottratti alle casse pubbliche saranno più o meno due terzi di oggi, è fuori discussione che alcuni dettagli sono così contorti e pasticciati da lasciare dubbi. Ad esempio era una vergogna che chi regalava soldi ai partiti avesse detrazioni fiscali fino a 51 volte più alte di chi donava gli stessi soldi a una associazione non profit e (dopo mille denunce, per anni), quella norma è stata cambiata, ma come ricorda redattore sociale.it i donatori non sono stati messi ancora sullo stesso piano e dare denari al Pd, Sel o a Forza Italia resta 14 volte più conveniente che darli alla ricerca sul cancro: perché?
La trasparenza sulle donazioni (c’è chi si è spinto a teorizzare che «magari a un imprenditore non fa piacere sapere che ha dato i soldi a un partito») ha fatto dei passi avanti ma, come denuncia il M5S, è ancora lontana dai livelli anglosassoni dove il deputato Alan Campbell fu obbligato a denunciare anche gli 88,61 euro ricevuti da una società di ricerca Populus per aver risposto a un sondaggio. Non ci può essere una dose omeopatica di trasparenza: o c’è o non c’è.
Terzo punto da chiarire: accusa Roberta Lombardi che già dal prossimo agosto i partiti riceveranno degli anticipi su quelle donazioni presunte del «2 per mille». Se poi questi anticipi dovessero essere superiori alle donazioni effettive, cosa accadrà? È già successo, quando fu tentato l’esperimento del «4 per mille». La conclusione fu: cosa fatta capo ha.
Quarto punto: dopo avere tentato l’abolizione delle sanzioni per quanti non rispetteranno le nuove regole, la maggioranza che ieri ha varato l’abolizione del vecchio finanziamento pubblico, ha deciso che chi farà il furbo sarà escluso dall’elenco dei possibili beneficiari di quel «2 per mille». Non dovrà, però, restituire ciò che impropriamente aveva incassato. Abbiamo capito male?
Per non dire di altre perplessità, come quelle sul «5 per mille» alle fondazioni o il trattamento «speciale» per i dipendenti dei partiti: massima comprensione per chi vede a rischio il proprio posto di lavoro, ma perché dovrebbero essere trattati in maniera diversa dagli altri cittadini italiani?
Insomma, condividere i trionfalismi di chi saluta la riforma (per quanto prenda atto che certe esagerazioni sono finite) come una svolta epocale, è un po’ troppo. Tanto più che, sotto sotto, restano i dubbi di Riccardo Puglisi che su lavoce.info ha scritto che meglio sarebbe stato un drastico ridimensionamento dei fondi pubblici (previsti in mezzo mondo e indecenti solo quando sono esorbitanti) piuttosto che «una transizione così lenta al regime finale di finanziamento, che non è ottimale perché lascia maggiore spazio a furbi ripensamenti a livello parlamentare». A farla corta, è bene che i cittadini restino con gli occhi aperti...
Gian Antonio Stella