Roberta Miraglia, Il Sole 24 Ore 21/2/2014, 21 febbraio 2014
GLI STIPENDI REALI DEI TEDESCHI PERDONO TERRENO
I salari reali tedeschi calano per la prima volta dal 2009, l’anno della grande crisi, dopo tre consecutivi di crescita. Le retribuzioni nel 2013 sono scese dello 0,2% rispetto al 2012 perché l’aumento nominale dell’1,3% nei valori lordi mensili è stato completamente eroso e spinto in territorio negativo dall’inflazione che, nello stesso periodo, si è attestata all’1,5 per cento. Anche cinque anni fa, quando il Pil della Germania perse il 5,1% sotto i colpi dello shock finanziario propagatosi da oltreoceano, le retribuzioni avevano subìto una perdita, in termini reali, dello 0,2 per cento.
Una delle cause della flessione, spiega l’istituto di statistica Destatis che ha diffuso ieri i dati preliminari, si individua nella riduzione dei premi di produttività ai dipendenti, in genere legati ai profitti delle imprese. Escludendo questi pagamenti nel 2012 e nel 2013, sottolinea l’istituto, l’incremento nominale dei salari nell’anno appena concluso sale infatti all’1,7 per cento, superando l’aumento dei prezzi al consumo.
Le cattive notizie sull’andamento delle retribuzioni potrebbero frenare ulteriormente i consumi del Paese, impegnato in un difficile tentativo di riequilibrio della propria bilancia delle partite correnti. E giustificare il mancato aggiustamento sul fronte della domanda interna più volte promesso ai partner Ue.
L’elevato surplus della Germania è da tempo sotto accusa negli Stati Uniti e pure in Europa perché causa di squilibri nella ripresa dell’Eurozona: nel 2013, stando alle previsioni dell’istituto Ifo, l’avanzo potrebbe aver toccato un record a 260 miliardi di euro, superando quello della Cina. Dal 2007 la Germania ha un surplus delle partite correnti a livello mondiale vicino al 7% del Pil e la Commissione Ue, lo scorso novembre, ha aperto una procedura per analizzare se questo squilibrio macroeconomico stia acuendo la crisi nel Sud dell’Eurozona. All’epoca il presidente José Manuel Barroso disse che la Ue deve capire «se questo attivo ha un impatto negativo sul funzionamento dell’economia europea» anche se Bruxelles è consapevole «che riguarda i rapporti commerciali della Germania con il mondo, non con la zona euro». Più assolutoria, ieri, la posizione di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, ed esponente di un altro Paese campione di export, l’Olanda. «Ora si dice che l’economia tedesca è troppo forte e che questo è un problema - ha dichiarato - ma non credo sia vero».
In realtà il vero problema per Berlino potrebbe essere il rallentamento dell’export verso gli emergenti percorsi da nuovi venti di crisi innescati dal tapering della Fed. Anche per questo, e non solo su pressione dei partner Ue, il governo di Grande coalizione guidato da Angela Merkel ha messo nel programma il capitolo investimenti e stimolo dei consumi interni. Con la stima di un +1,8% nel 2014, la crescita quest’anno dovrebbe superare di gran lunga l’asfittico 0,4% del 2013, il passo più lento dal 2009.
I redditi, e di conseguenza i consumi, dovrebbero essere aiutati soprattutto dall’introduzione (ma solo nel 2015), del salario minimo, inserito nel programma di governo su richiesta dei socialdemocratici. Negli ultimi vent’anni, è la tesi di una parte degli economisti, le retribuzioni reali sono state troppo compresse, nonostante la crescita. Una paga oraria minima di 8,50 euro riguarderà il 17% della forza lavoro, circa sei milioni di dipendenti, e innescherà dinamiche al rialzo anche dei salari già al di sopra del limite di legge. Aprendo la strada a un’altra questione, altrettanto delicata per i tedeschi: le possibili pressioni inflazionistiche.