Francesca Schianchi, La Stampa 21/2/2014, 21 febbraio 2014
SOLDI AI PARTITI SÌ DEFINITIVO ALL’ABOLIZIONE
Per il ministro delle riforme uscente, Gaetano Quagliariello, è una «riforma storica». Per il democratico Emanuele Fiano, capogruppo in Commissione affari costituzionali, è «una buona legge che ci porta in Europa». Sel la giudica invece una «riforma che peggiorerà la qualità della nostra democrazia» (lo dice il tesoriere Sergio Boccadutri) e il Movimento Cinque Stelle, che avrebbe voluto un’abolizione immediata di tutti i fondi pubblici ai partiti, la definisce «bugia n. 1» di Renzi, come scrivono i deputati pentastellati su cartelli che espongono in Aula, in cui il premier incaricato è raffigurato col naso lungo di Pinocchio. Con 312 voti a favore, 141 contrari e 5 astenuti, la Camera ha convertito ieri in legge il decreto del governo Letta sull’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti. Favorevoli le forze della maggioranza - Pd, Scelta civica, Per l’Italia, Ncd - più Forza Italia. Contrari Lega, Sel e M5S; astenuti i Fratelli d’Italia.
Non più rimborsi, e nemmeno il cofinanziamento introdotto con una legge del settembre 2012: con la nuova legge il finanziamento pubblico cesserà però definitivamente a partire dal 2017, nel frattempo sarà ridotto del 25% quest’anno, del 50 l’anno prossimo, del 75% nel 2016. Verrà invece introdotto il finanziamento privato e volontario: sia attraverso la possibilità di devolvere ai partiti il 2 per mille della propria denuncia dei redditi, ma solo a quelli che siano in regola con alcuni criteri di democraticità interna e di trasparenza di bilancio, sia attraverso donazioni dei cittadini. A cui vengono applicate detrazioni del 26% per importi fino ai 30 mila euro (il costo delle detrazioni è stimato in 27,4 milioni per il 2015 e 15,65 milioni dal 2016, da coprire coi risparmi derivanti dall’abolizione graduale dei contributi ai partiti), viene previsto l’obbligo di versarli non in contanti ma con sistemi tracciabili come assegni e bonifici, e un tetto massimo di 100 mila euro per i privati, sia persone fisiche che giuridiche. Si prevedono cassa integrazione e contratti di solidarietà per i dipendenti dei partiti a prescindere dal loro numero (mentre per le aziende si può ricorrere ai contratti di solidarietà solo se c’è un minimo di 15 dipendenti), obbligo per gli immobili dei partiti di pagare l’Imu, possibilità di raccogliere fondi attraverso sms, decurtazione dei finanziamenti ottenuti col 2 per mille per chi non candidi almeno il 40% di donne in lista (e incentivi per chi ne elegga di più). Ancora, si stabilisce di rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi di tesorieri e leader dei partiti che abbiano almeno un rappresentante in Parlamento.
Così, alla fine diventa legge un testo che vide la luce nella sua prima formulazione nell’aprile dell’anno scorso, quando il governo guidato da Enrico Letta propose un disegno di legge per abolire gradualmente il finanziamento pubblico. Dopo una lunga gestazione alla Camera, a causa di interminabili discussioni tra Partito democratico e Forza Italia, allora alleati di governo, e dopo una faticosa mediazione, il testo passò a Palazzo Madama. Finché a dicembre il governo decise di fare un decreto, immediatamente attivo, e che occorreva convertire in legge entro fine mese.
«Un risultato della ferma e precisa volontà del governo, e del Pd in particolare», gioisce la democratica vicepresidente della Camera Marina Sereni. Ma dal Movimento Cinque Stelle il capogruppo a Montecitorio Federico D’Inca insiste che l’abolizione del finanziamento pubblico «è la prima bugia di Renzi: non sarà abolito, sarà solo un po’ ridotto e cambia nome».