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 2014  febbraio 21 Venerdì calendario

LA CENTRALE PERFETTA NON ESISTE MA NON DEMONIZZIAMO IL CARBONE


[Annibale Biggeri]

La perizia shock del professor Paolo Crosignani che parla di 400 morti in sette anni causati dalla centrale a carbone di Vado Ligure riporta in auge gli stessi interrogativi aperti con l’Ilva di Taranto: può l’Italia continuare a seguire un modello di sviluppo che prevede grandi siti industriali a così stretto contatto con la popolazione residente? Il professor Annibale Biggeri, ordinario di biostatistica all’Università di Firenze e consulente proprio per il caso Ilva, ritiene che una riflessione vada affrontata.
Professore, quali sono gli inquinanti che si disperdono nell’ambiente da una centrale a carbone?
«La miscela non è molto diversa da quella che possiamo incontrare nelle nostre città e nei siti industriali in genere: ci sono le polveri sottili, l’anidride solforosa, il biossido di carbonio».
L’esposizione a questi inquinanti cosa può provocare?
«Dipende. C’è un ventaglio abbastanza vasto. Anche solo considerando le morti da inquinamento si può andare dalla morte a breve distanza, uno o due giorni, in casi di picchi molto elevati di inquinamento, a malattie cronico degenerative come i tumori che possono riscontrarsi a decine di anni di distanza».
L’Assocarboni dichiara che «la caratteristica indiscutibilmente meno nota del carbone è la sua compatibilità con l’ambiente e si spinge molto sulle centrali di ultima generazione che sarebbero a bassissimo impatto ambientale.
«Un conto è dire che la gente si comporta come si dovrebbe comportare, un altro è poi andare a verificare empiricamente se questo succede. Mi spiego meglio: ci sono inceneritori che, sulla carta, hanno bassissime emissioni di inquinanti. Ma per essere vero è necessario che tutto funzioni alla perfezione. Invece poi possiamo scoprire che un sito industriale o un inceneritore, anche quello più all’avanguardia, emette inquinanti perché si bruciano più sostanze di quelle prescritte o perché si bruciano con composizioni diverse».
Come si può ovviare?
«Più che sulla capacità di emissione delle nuove tecnologie, mi sentirei più rassicurato se si dichiarasse qual è l’impatto sulla popolazione».
In Italia sono attualmente attive 13 centrali a carbone: significa che ovunque ce n’è una c’è un inquinamento della popolazione?
«Non è una cosa così semplice da dichiarare. Ogni situazione è particolare e va studiata nel suo dettaglio».
Che tipo di studi si possono fare?
«Ce ne sono di due generi: uno descrittivo e l’altro di coorte. A grandi linee, il primo analizza il profilo attraverso dati statistici come il numero dei ricoveri, l’incidenza dei tumori, la mortalità in un dato territorio. Sono analisi che hanno vantaggi e svantaggi».
E quelli di coorte?
«Sono più complessi e dispendiosi. Si tratta di ricostruire la vita di ogni singolo residente in quella zona. Per esempio a Taranto lo si è fatto a partire dal 1998. Si valutano altri parametri come il grado di esposizione agli inquinanti che i soggetti possono aver avuto non solo perché residenti in quella zona, ma per il lavoro svolto, per le abitudini di vita, per la presenza di altri siti industriali».
I titolari della Tirreno Power di Vado Ligure hanno dichiarato che lo studio del professor Crosignani non è definitivo, non è per esempio stato sottoposto a un contraddittorio.
«Qui entriamo in un altro campo che è quello giudiziario. Mentre in campo scientifico è la comunità degli scienziati a stabilire l’affidabilità di uno studio o meno (e di solito si premia la sua originalità), in campo giudiziario è l’applicazione di tecniche e di metodi universalmente riconosciuti, e quindi solidi, che determina l’affidabilità. Poi, ovviamente, questi studi possono essere contraddetti da altri studi».
Quindi non c’è certezza?
«Diciamo che ci sono gradi di certezza diversi. L’uso di certi metodi porrà l’accento o meno su quel grado di certezza, ma ci sono alcuni dati incontrovertibili come la presenza di inquinanti nel terreno che sono universalmente riconosciuti come causa di una serie di patologie».